Siria: gli antefatti, la situazione, i possibili sviluppi e Israele

L’aver soffiato sul fuoco della guerra civile siriana non era stata certo fin qui un’operazione di successo per la Turchia di Erdogan. Fino a pochi giorni fa il risultato ottenuto consisteva in una sostanziale sconfitta sul campo, l’arrivo in Turchia di milioni di profughi siriani, (che destabilizzano il Paese), e il ritrovarsi su parte del confine sud i detestati curdi siriani protetti dagli Stati Uniti. I tentativi diplomatici tentati da Ankara nei mesi scorsi, affinché Bashar al Assad si riprendesse in patria almeno una parte del suo popolo fuggito in Turchia, avevano trovato un muro da parte del dittatore siriano. A questo punto la Turchia ha, come minimo, dato luce verde al contrattacco jihadista iniziato, con enorme successo, giovedì scorso.

Le forze jihadiste capitanate dall’organizzazione terroristica sunnita Hayat Tahrir al Sham che hanno conquistato Aleppo nei giorni scorsi sono scese verso sud e sono giunte di fronte alla città di Hama, collocata a circa metà strada tra Aleppo stessa e Baghdad, nella Siria occidentale. Qui ieri le formazioni jihadiste si sono fermate. Ad Hama l’Esercito Arabo Siriano del dittatore Bashar al Assad è riuscito a raggrupparsi e a creare un fronte difensivo. Non è vero – come alcuni giornali riportano – che l’esercito di Assad “ha iniziato un contrattacco”, almeno non fino alla notte scorsa. Alle spalle delle formazioni jihadiste agisce un ombrello di milizie siriane filo-turche denominato Esercito Nazionale Siriano. Queste formazioni hanno allontanato le milizie curde dai quartieri nord di Aleppo e le hanno respinte verso est. I filo-turchi hanno anche superato le linee difensive dei curdi e preso il controllo di Tal Rifaat, l’area ancora controllata dai curdi a nord di Aleppo, e spingono ulteriormente verso Al Bab, a est. I curdi mantengono ancora Manbij, ma ora la città è circondata da tre lati ed ha alle spalle il fiume Eufrate. Il vecchio obiettivo turco di ripulire la Siria nord occidentale dalla presenza curda e di respingere le YPG (Unità di Difesa del Popolo) al di là dell’Eufrate ha visto Ankara fare un progresso in questa direzione.Per quanto riguarda il resto del Paese al momento non si è in grado di comprendere appieno se e come insorgerà la storica provincia meridionale di Daraa. Se Daraa, e anche Homs, dovessero insorgere, l’Esercito Arabo Siriano di Assad dovrebbe dividere le sue forze tra un fronte a nord e uno a sud.

PROSPETTIVE. L’Iran non può lasciare la Siria in mano ai turchi e ai jihadisti. Perdere la Siria taglierebbe il ponte che Teheran ha costruito (a suon di miliardi) con il Libano. Senza afflusso di rifornimenti attraverso la Siria l’Hezbollah libanese finirebbe ridimensionato o peggio. Allo stesso modo non è immaginabile neppure per la Russia una futura Siria in mano jihadista. La base aero-navale russa di Latakia, l’unica che i russi hanno nel Mediterraneo, deve essere mantenuta a tutti i costi e quantomeno necessita di un ampio entroterra tenuto sotto controllo. Per quanto altrimenti affaccendati i russi, gli iraniani ed Hezbollah dovranno gettare soldi ed esseri umani nella nuova battaglia che si prospetta. Le milizie irachene controllate dall’ Iran hanno già varcato il confine siriano nella giornata di ieri, dirigendosi verso il fronte. Le prospettive di questa nuova fase di guerra ci fanno immaginare combattimenti prolungati e sanguinosi

ISRAELE. Come ai tempi della guerra Iran-Iraq, a Israele non resta – come in  una vecchia battuta – che “augurare il massimo successo a entrambi i contendenti”. Non è male per lo Stato ebraico che iraniani e jihadisti siano impegnati a uccidersi tra di loro. Nel breve termine la nuova guerra siriana indebolisce Hezbollah e sposta altrove le risorse iraniane; ma, se a lungo termine i jihadisti filo turchi dovessero conquistare la Siria, per Israele il risultato sarebbe negativo. Assad si era tenuto alla larga dalla Guerra del 7 ottobre e da anni, almeno nei fatti, non conduceva azioni militari contro Tel Aviv. Una dittatura siriana feroce sul piano interno ma stabile nelle relazioni internazionali era preferibile al dilagare dell’estremismo sunnita di Tahrir al Sham, la quale è riconosciuta come un’organizzazione terroristica da molti Paesi e sulla testa del cui capo, Abu Mohammad al Jolani (oppure: “al Jawlani”) – se oggi è ancora vivo – pende una taglia statunitense di dieci milioni di dollari.

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