Iran, la celebrazione del Capodanno come resistenza al regime

Con l’arrivo della primavera, milioni di iraniani festeggeranno l’inizio dell’anno nuovo. Il Capodanno persiano, in farsi Nowruz, cadrà mercoledì 20 marzo, in concomitanza con l’equinozio di marzo. Si tratta di una ricorrenza antichissima, che pone le sue radici nella cultura zoroastriana di circa 15mila anni fa. Originariamente la festa consisteva in una cerimonia in onore di Ahura Mazda, divinità a cui veniva associato l’arrivo della bella stagione.

Dalla nascita della Repubblica islamica nel 1979, però, il governo teocratico di Teheran ha cercato cancellare il legame con la tradizione persiana, islamizzando ogni aspetto del vivere civile. A tale rivoluzione dei costumi non ha fatto eccezione il Nowruz: nel corso degli anni, la leadership religiosa ha infatti introdotto divieti e limitazioni finalizzati a erodere il significato di questa festa.

Una situazione complicata

L’anno che verrà in Iran sarà il 1403. Ma probabilmente non sarà un nuovo inizio. Nel Paese, infatti, sono quarantacinque anni che la religione è saldamente al potere. E dalla Rivoluzione di Ruhollah Khomeini a oggi poco è cambiato: la leadership governativa non ha mai smesso di imporre oppressivamente il proprio controllo sulla popolazione in nome del Corano. Libertà e diritti sono concetti quasi sconosciuti nella Repubblica islamica, specie per le donne e per chi cerca di svincolarsi dal giogo del potere religioso.

Le elezioni per il Parlamento e quelle per l’Assemblea degli Esperti che si sono tenute venerdì 1° marzo hanno restituito l’immagine di un Paese sostanzialmente diviso a metà. Da una parte la classe dirigente, decisamente ignara di cosa voglia dire democrazia: dei circa 14mila candidati proposti per i 290 seggi del Parlamento, solo un centinaio non appoggiavano il regime (e non erano nemmeno riformisti). Dall’altra la stragrande maggioranza della popolazione, stufa e delusa da un governo che non concede respiro agli oppositori politici. Secondo un sondaggio effettuato dall’istituto Gamaan alla vigilia del voto, il 77 per cento degli iraniani aventi diritto non si sarebbe recato alle urne il 1° marzo. Non solo: alla domanda “Sai quando si terranno le prossime elezioni parlamentari?”, il 37,7 per cento degli intervistati ha risposto in maniera negativa.

Stando ai dati ufficiali resi noti il 4 marzo, l’affluenza elettorale si è attestata attorno al 41 per cento. Una quota molto probabilmente gonfiata da irregolarità (l’assenza di un timbro sulla scheda consentiva, di fatto, la possibilità di esprimere la propria preferenza più di una volta), ma che comunque rappresenta il punto più basso per la Repubblica islamica dal 1979, superando il 42,6 per cento delle elezioni presidenziali del 2020. Conservatori e ultra-conservatori, che temevano una diserzione delle urne ancora peggiore, hanno commentato positivamente il dato relativo all’affluenza. In particolare, il quotidiano filo-governativo Hamshahri, riferendosi ai 25 milioni di votanti su un totale di 61 milioni, ha parlato di “schiaffo all’America”, riconoscendo questo Paese come responsabile della tentata campagna di boicottaggio ai danni della Repubblica islamica.

Un Capodanno senza discorso

L’ingerenza della religione nella vita delle persone è a dir poco pervasiva. E in molti casi soverchiante nei confronti delle scelte dei singoli individui. Le alte cariche dello Stato non perdono occasione per esercitare il proprio dominio sulla popolazione, marchiando con il sigillo islamico eventi e festività. Ne è un esempio la ricorrenza del Nowruz: ogni primo dell’anno la Guida Suprema tiene un discorso nella città di Mashad, nota meta di pellegrinaggi religiosi. Al pari del suo predecessore Khomeini, l’attuale leader iraniano Ali Khamenei ha sempre sfruttato l’ingente afflusso di musulmani in visita al santuario dell’Imam Reza per ostentare la propria popolarità tra i fedeli, oltre che per incardinare la celebrazione non islamica del Capodanno all’interno dei margini del Corano.

Quest’anno, però, il rischio di un fiasco è molto concreto. La crisi sociale e le difficoltà economiche (l’inflazione galoppa a circa 50 punti percentuali) hanno progressivamente minato la fiducia popolare nei confronti del governo. Stando a quanto riferito da Iran international, le autorità religiose sarebbe corse ai ripari. Accampando la scusa del Ramadan – il digiuno islamico che quest’anno cade nel periodo tra l’11 marzo e il 9 aprile -, avrebbero predisposto la cancellazione del discorso alla nazione pronunciato dalla Guida Suprema presso il santuario dell’Imam.

I rituali sgraditi

Per molti iraniani il Nowruz rappresenta un anello di congiunzione con le radici persiane. Un giovane di Teheran, che preferisce non rivelare la propria identità, dice che per lui «tradizioni e religione sono divise». E spiega: «Amo celebrare il Capodanno con la mia famiglia. È qualcosa di molto importante perché è completamente iraniano, totalmente persiano». Da quarantacinque anni a questa parte, il regime degli ayatollah ha cercato di svuotare di senso il Nowruz. Nel 1979, ad esempio, la Guida Suprema propose di abolire le due settimane di vacanza per scuole e università nel periodo dell’anno nuovo: nulla di fatto, però. In seguito, le autorità governative cercarono di togliere i cinque giorni di ferie per i dipendenti pubblici, ma trovarono la ferma opposizione dei lavoratori. Andò a segno, invece, la cancellazione delle celebrazioni del Capodanno negli spazi pubblici. Questo divieto, giustificato con pretesti di vario genere, vincolò i festeggiamenti del Nowruz all’interno dell’alveo domestico.

Nel corso dei decenni, il regime islamico allungò la sua mano anche sui riti annessi al primo giorno del nuovo anno. Il Sizdah Bedar (letteralmente “tredici passato”), ad esempio, è stato a lungo bersaglio della leadership musulmana. Si tratta di una festa tradizionale, risalente all’epoca dei zoroastriani, che cade tredici giorni dopo il Nowruz. Nella cultura persiana antica, il numero dodici rappresenta la fine del mondo, mentre il suo consecutivo è metafora della vita che prosegue. Il tredici è dunque cifra sacra per gli iraniani e la tradizione attribuisce a questa data significati come la prosperità e la rinascita. Per questo motivo, in occasione del Sizdah Bedar la gente trascorre la giornata all’aperto, in compagnia di amici e parenti. Tale ricorrenza è stata pubblicamente bandita dalle autorità religiose, in quanto “pericolosa per l’ambiente”. Pertanto, sono state costruite staccionate per impedire alle persone di inoltrarsi in prati e in spazi verdi. Ed è stato perfino cambiato il nome della festa in “Giornata della Natura”. Nonostante i tentativi di epurazione dell’antico sostrato culturale persiano, però, gli iraniani perseverano nella celebrazione di questo rito, sia in patria che all’estero.

Un discorso analogo può essere fatto in merito ad altri momenti rituali, che sono stati trasformati o risemantizzati dai religiosi al potere. In particolare, non è rimasto esente dal processo di islamizzazione avviato Khomeini in Iran l’Haft-Sin (ovvero “sette s”), il tradizionale tavolino preparato qualche giorno prima del Nowruz su cui sono apposti sette oggetti simbolici, inizianti con la lettera “s”: sabzeh (“germogli”), sib (“mela”), somaq (“sommaco”, una spezia), sir (“aglio”), serkè (“aceto”), sekkè (“monete”) e sonbol (“giacinto”). Accanto a questi elementi, originariamente veniva collocato il Divan-e-Hafez, un testo di poesie redatto dal poeta persiano Hafez nel XIV secolo; recentemente, il governo ha deciso di sostituire questo libro con il Corano, imprimendo così coercitivamente il sigillo musulmano sull’eredità persiana.

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