
In un’industria che non butta via nulla, Tron rappresenta un caso emblematico. Dopo più di quarant’anni dal film originale del 1982 con Jeff Bridges, la saga ritorna con Tron: Ares, nelle sale dal 9 ottobre.
Il primo Tron fu una pietra miliare per la fantascienza cinematografica: un viaggio dentro il mondo digitale in piena estetica anni Ottanta, tra luci al neon e geometrie futuristiche. Il sequel del 2010, Tron: Legacy di Joseph Kosinski (lo stesso di Top Gun: Maverick), aggiornò quella visione con uno stile hi-tech e una colonna sonora dei Daft Punk rimasta iconica.
Ora, Tron: Ares cambia prospettiva: non guarda più avanti, ma dentro al nostro presente iperconnesso.
Tra CEO e codici proibiti: Tron e la nuova trama
Il film, scritto da Jesse Wigutow e diretto da Joachim Rønning, si muove nel cuore pulsante dell’era digitale.
Al centro della storia ci sono Eve Kim (Greta Lee, già vista in Past Lives), visionaria CEO della ENCOM, e Julian Dillinger (Evan Peters), giovane erede ribelle di una compagnia rivale. Entrambi inseguono il codice Permanence, una stringa misteriosa in grado di materializzare nel mondo reale i programmi provenienti dal virtuale — una sorta di super stampante 3D capace di trasformare il digitale in materia.
E poi c’è Ares (interpretato da Jared Leto), un’intelligenza artificiale senziente nata come arma, che comincia a interrogarsi sulla propria esistenza e sul senso della vita. Una figura ambigua, sospesa tra l’obbedienza e la libertà.
Il conflitto tra mondi e l’eredità del franchise
Come da tradizione, Tron: Ares mantiene una divisione netta tra luci e ombre: i “blu” rappresentano il lato buono del sistema, i “rossi” quello distruttivo. Ma stavolta, il vero punto di svolta è il ribaltamento delle regole: non sono più gli umani a entrare nel mondo virtuale, ma le IA a farsi strada nel nostro.
Rønning prende l’eredità estetica e concettuale della saga e la rimescola, costruendo un film che è tanto riflessivo quanto spettacolare. Persino Jeff Bridges torna brevemente in una versione digitale, a chiudere un cerchio lungo quattro decenni.
Tron: effetti visivi da capogiro e ritmo elettronico
Visivamente, Tron: Ares è un’esperienza ipnotica. Il film alterna due ambientazioni mozzafiato:
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una fuga adrenalinica all’interno del Grid, lo spazio virtuale dominato da luci pulsanti e geometrie sintetiche;
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una spettacolare caccia notturna in una città fatta di vetro e riflessi, dove le scie luminose dei droni disegnano nell’aria trame da microchip.
La colonna sonora firmata dai Nine Inch Nails, con Trent Reznor e Atticus Ross, amplifica ogni emozione. I due musicisti – già premi Oscar per The Social Network e Soul – prendono il testimone dei Daft Punk e regalano al film un’anima sonora potente, magnetica, perfettamente in sintonia con la sua natura elettrica.
Un’esperienza sensoriale che conquista
Tron: Ares non è solo un sequel, ma un viaggio estetico e sensoriale. Non reinventa la fantascienza, ma la riaccende, giocando con l’idea di un presente dove umano e artificiale si confondono.
È un film che si guarda con gli occhi spalancati e si ascolta con il cuore in fibrillazione, tra riflessi, pixel e pura meraviglia visiva.
Tron: Ares è il ritorno che non ti aspetti. Un film che riesce a essere spettacolare e consapevole, nostalgico e contemporaneo. Un piacere per gli occhi e per le orecchie, come solo pochi blockbuster oggi sanno essere.