Un’America incerta sugli aiuti all’Ucraina

Il tormentato passaggio della legge sugli aiuti all’Ucraina che ha bloccato per mesi il Congresso degli Stati Uniti in uno stallo che nel frattempo ha prodotto morte, distruzione e perdite di territorio che Kyiv avrebbe altrimenti potuto ridurre, è stato infine approvato alla Camera USA. Le cronache si soffermano ad analizzare i comportamenti dell’attuale Presidente degli Stati Uniti, del suo principale sfidante, Donald Trump, dello Speaker Repubblicano alla Camera, Mike Johnson, e ci informano delle dinamiche interne al Partito Repubblicano, il grande responsabile del ritardo con cui il prossimo pacchetto di aiuti militari giungerà all’Ucraina. Ma questi accadimenti forse non sono che il risultato di una generale tendenza dell’opinione pubblica americana.

In democrazia l’opinione pubblica conta perché i cittadini hanno diritto di voto, un voto che a volte cambia clamorosamente l’equazione del potere a dispetto di quanto possano pensare e decidere le élite politiche, economiche e culturali di un Paese. Se tutto fosse dipeso da queste élite Donald Trump non sarebbe mai giunto alla Casa Bianca nel 2016 e il referendum sulla Brexit sarebbe stato bocciato – tanto per limitarsi a due esempi nel mondo anglosassone.  A dispetto della famosa frase attribuita a Mark Twain, le elezioni democratiche – nel bene e nel male, a seconda di come la si pensi – contano e, alla faccia di tutti i complottismi, se un leader come Farage o come Trump riesce ad entrare in sintonia con gli umori profondi della popolazione può conquistare il potere. Allo stesso modo anche i capi politici con un approccio diverso alle questioni in gioco hanno l’obbligo, se vogliono mantenere il potere, di mediare i loro intendimenti con quelli dell’opinione pubblica. Un facile esempio: molti leader politici dell’Europa occidentale sono dell’idea che si debbano ricostruire le proprie forze di difesa, ma qualsiasi leader politico dell’Europa occidentale che dovesse esplicitamente dire ad una popolazione anziana che bisogna spostare i finanziamenti pubblici dalla sanità all’industria delle armi sarebbe oggi destinato alla sconfitta nelle urne.

E’ un’America stanca di guerra quella a cui si rivolgono oggi i leader politici statunitensi e di questo devono tenere conto. Gli Stati Uniti provengono da due catastrofiche sconfitte militari, in Iraq ed in Afghanistan, ed il Paese nel suo complesso teme – in modo bipartisan seppure con accenti diversi – che una nuova avventura militare possa risolversi in un ulteriore disastro. Il mondo razionale in cui vivono gli analisti, le vette del potere che ci descrivono i giornalisti, escludono una componente psicologica importante per la comprensione della realtà: il sentimento trasversale e profondo che attraversa ed orienta le scelte di una nazione. Per comprendere questa paura trasversale e profonda che investe l’America, per comprenderne l’attuale incertezza di fronte alle questioni internazionali, dobbiamo comprendere la misura della questione dei finanziamenti bellici all’Ucraina che tanto ha tormentato il Congresso degli Stati Uniti. Le cifre dei finanziamenti americani a Kyiv, se declinate in soli termini di spesa, appaiono al cittadino comune enormi – nel caso di questo ultimo pacchetto di aiuti parliamo di 60 miliardi di dollari – ma invece devono essere rapportate alla ricchezza complessiva di una nazione ed alle dimensioni del suo bilancio. Ebbene, dall’analisi del Kiel Institute, dal gennaio 2022 al gennaio 2024 gli Stati Uniti hanno “speso” per l’Ucraina lo 0,3% del proprio Prodotto Nazionale Lordo.

Per paragone: l’Estonia nello stesso periodo ha sacrificato il 4,1%, la Danimarca il 3%, la Germania l’1,1%. In termini di finanziamenti all’Ucraina, sempre secondo l’Istituto Kiel, gli Stati Uniti si collocano attualmente al 32° posto tra i Paesi donatori. Secondo il Senatore americano Mark Warner, (Democratico della Virginia – Presidente del Comitato di Intelligence del Senato), gli aiuti bellici all’Ucraina negli ultimi 2 anni hanno rappresentato: “meno del 3% del nostro bilancio per la difesa”. Ecco, è di “questo” che stiamo parlando, è intorno a queste cifre che si è scatenato il bailamme Repubblicano, è per giustificare il blocco di questi impegni economici che si sono scomodati analisti che dicono: “Dobbiamo concentrarci sulla Cina, non possiamo impegnarci anche per l’Ucraina”. Che gli Stati Uniti non possano permettersi circa lo 0,3% del proprio PIL, corrispondente al 3% scarso del proprio budget militare, perché altrimenti perdono il confronto militare-industriale con la Cina è un ragionamento un po difficile da accettare.

Sarebbe comunque un errore pensare che il fardello dell’incertezza americana ricada esclusivamente sulle spalle del Partito Repubblicano. Per comprendere le esitazioni del Partito Democratico è esemplificativo rivolgere uno sguardo alla politica dell’Amministrazione Biden nei confronti dell’attuale guerra tra Israele ed i suoi nemici. In una certa continuità con l’Amministrazione che l’ha preceduto, la politica di Biden sembra essere guidata da un unico imperativo: essere coinvolti in Medio Oriente il meno possibile. Come detto, la paura di ritrovarsi ancora una volta sconfitti in un conflitto è alla base di una bipartisan incertezza americana che ne orienta la politica interna ed internazionale.

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