Sistema di controllo cinese, quel parossismo che però fa pensare

Si fa tanto parlare del sistema di credito sociale cinese come di una privazione della privacy e della libertà della gente. Il meno dichiarato controllo al quale siamo quotidianamente sottoposti passa invece quasi inosservato. Intanto, mentre aspettiamo l'ennesimo DPCM, in Cina il Covid appartiene già al passato

Cina_Telecamere

Può lo sguardo occidentale riuscire a cogliere le dinamiche di controllo di un Paese come la Cina? E se sì, in che misura può giudicarlo? Da diversi mesi, cronisti europei o americani paragonano la realtà cinese a quella, distopica, della serie Black Mirror, raccontando il sistema del credito sociale, per mezzo del quale il Governo spia quotidianamente – ma dichiaratamente – i suoi cittadini. Spesso, nel descriverlo, ne esagerano le regole, per rendere la questione ancora più macabra e parossistica.

Nel frattempo, a ben documentarsi, si scopre che per molti abitanti della Cina quello stesso sistema di controllo sembra trovare il suo senso. I fatti, poi, ci dicono che come risultato della stessa rigidità oggi in Cina il Covid appartiene già al passato e si è tornati a fare la vita di sempre. Mentre noi aspettiamo l’ennesimo DPCM, sul calare della seconda ondata, chiedendoci se ce ne sarà una terza. Sottoposti comunque a un perenne controllo virtuale, magari invisibile, ma presente. E quindi? Dove sarà la vera distopia? E il controllo, bisognerebbe giudicarlo rispetto alle misure o ai risultati?

Social Credit System, in cosa consiste

Era il 2014 quando il Governo centrale cinese dichiarava la propria decisione di applicare il sistema del credito sociale. E iniziava a testarlo in città come Pechino e Shanghai. Sei anni dopo, nel 2020, il sistema è stato esteso quasi dappertutto nel Paese. Il principio di base rimanda in effetti alla fantascienza. Il volto di ogni cittadino viene scannerizzato sotto tutte le prospettive e così riconosciuto praticamente ad ogni movimento in città, attraverso un sistema di telecamere di sorveglianza tra i più sviluppati al mondo.

A seconda della buona o cattiva condotta sociale si ottengono o perdono punti. Con un punteggio alto si “vincono” dei premi – assenza di deposito per affittare una bici, una macchina o un appartamento, accesso facilitato a finanziamenti, Hotel, biglietti aerei. Mentre andando al di sotto di una certa soglia si perdono dei privilegi e si rischia di influenzare negativamente anche partner, figli o amici. Non è possibile, tra le altre cose, acquistare un biglietto aereo o ferroviario, iscrivere i propri figli in una scuola rinomata o candidarsi per un lavoro di alto prestigio.

La coscienza dei propri atti

Praticamente ogni atto compiuto nel corso della giornata viene monitorato. Dei punti vengono sottratti se si attraversa la strada con il semaforo rosso, si pagano le tasse in ritardo o si compra un eccessivo quantitativo di alcool al supermercato, per esempio. Se al contrario si comprano pannolini, ecco che il punteggio aumenta, perché essere genitore è associato al senso di responsabilità.

Si ottengono punti se si dona il sangue, se si fa un atto di carità, se si va a trovare un familiare anziano. O se si elogia il Governo a parole o sui social media. Al contrario, e senza troppe sorprese, remare contro il Governo, come scrivere da giornalista sulla corruzione del Paese, non può che fare abbassare vorticosamente il punteggio.

Punti di vista

Che cittadini “liberi” come gli europei o gli americani guardino a questo sistema come un’assurdità, una privazione della privacy, della libertà, si può certo comprendere. Ciò che fa pensare è però che in Cina non sia questo punto di vista a sembrare il più comune. Ci sono infatti molti cittadini che lo capiscono e apprezzano, che dichiarano di sentirsi a loro agio e soprattutto più protetti.

Documentandosi un po’, si legge che l’obiettivo di questa misura sarebbe quello di aumentare la consapevolezza riguardo al senso di integrità e generare fiducia nel Paese. Tenere a bada il comportamento etico e sociale dei cittadini in nome di sicurezza, responsabilità, onestà, affidabilità. Dovrebbe servire, insomma, ad individuare, punire ed isolare, in un Paese dai 1,4 miliardi di abitanti, quelli che mettono potenzialmente in pericolo la salute e la sicurezza di altri.

Questione Covid

Veniamo al Covid. I cinesi sono stati sottoposti a una quarantena di due mesi, iniziata e finita prima della nostra. Solo che, ancora una volta, il controllo effettuato non lasciava alcuna possibilità di sgarrare. Si stava in casa e basta. L’applicazione imposta alle persone per monitorare ogni spostamento è rimasta obbligatoria anche mesi dopo. Anche quando in Europa si viveva un’estate quasi normale, facendo finta che il male fosse alle nostre spalle.

Non è che forse questa rigidità dovrebbe farci pensare? Chissà come giudicherebbe, un osservatore cinese, le zone rosse, gialle e arancioni a quasi un anno di distanza? O il fatto che la nostra economia è crollata, che la disoccupazione dilaga insieme all’ansia, che i fuorisede non sanno neanche, a poche settimane dal Natale, se potranno abbracciare le proprie famiglie?

Distopia o finzione

Insomma, siamo sicuri di poter giudicare il sistema di controllo adottato in Cina? E non solo. Siamo davvero consci di quanto siamo controllati, spiati noi stessi a nostra insaputa? D’altronde non è un mistero che i nostri tanto cari telefonini, le applicazioni installate, l’accettazione dei cookies non facciano altro che trasmettere qualsiasi informazione sul nostro conto. I nostri dati personali, i nostri spostamenti. I nostri gusti e desideri di acquisti, che magicamente si traducono in pubblicità sui nostri social. O le nostre foto, che mettiamo su una “nuvola” senza sapere chi può averne l’accesso.

A ben guardare la nostra libertà sembra piuttosto una grande finzione. Forse, prima di parlare di realtà distopica guardando ad un altro Paese, dovremmo fermarci a pensare a quanto insensato sia il sistema nel quale noi stessi viviamo. Altro che Black Mirror.

 

Foto di Julien Tromeur da Pixabay