DPCM su DPCM, psicosi collettiva. E come se non bastasse, l’ora solare

I decreti si susseguono, sempre più rigidi. Il Covid attacca ma uccide molto meno degli incidenti stradali. Il quasi azzeramento della vita sociale, quello sì, rischia di fare moltissime vittime

Fog

Ci mancava solo il cambio dell’ora. L’ora solare, la chiamano, chissà poi perché, quando arriva in corrispondenza del grigissimo novembre e ci fa sentire, alle 6 del pomeriggio, come se fosse già notte. Togliendocela, quella già poca, salvifica luce che ci veniva concessa, in questa fase in cui ci vediamo rubare, poco a poco, la nostra libertà.

Ma dicevamo: ci mancava solo il cambio dell’ora. E sì, perché a farsi due conti la situazione è diventata talmente assurda da sembrare quasi comica. Improbabili numeri del Covid che ci fanno dare i numeri. Numeri dati da innumerevoli tamponi fatti come se non ci fosse un domani. Maschere che hanno sostituito il nostro volto. Contatto umano ridotto al minimo. E poi, il coprifuoco. Il pensare che al di là di una certa ora, se non ci si rinchiude in casa, un poliziotto ce la farà pagare. Pagare moralmente e con l’equivalente di 3 giorni di duro lavoro della settimana appena passata. Il coprifuoco. Come in un incubo. Come in guerra.

Delirio non ordinario

“ […] non cercavano nemmeno più di capire cosa succedeva intorno a noi nella vita, discernevano solamente, e a fatica, che il delirio ordinario del mondo era cresciuto da qualche mese, in tali proporzioni da non poter più appoggiare la propria esistenza su niente di stabile”.

Lo scriveva Louis-Ferdinand Céline in Viaggio al termine della notte. La guerra imperversava ed erano soldati quelli di cui l’autore parlava. Eppure la frase descrive precisamente il nostro tempo. Un delirio cresciuto in tali proporzioni da non poter più appoggiare la propria esistenza su niente di stabile. Non è forse quello che ci sta succedendo?

Apriamo gli occhi e una delle prime cose che vediamo è la mascherina appesa alla porta. Accendiamo la radio, usciamo per strada, prendiamo la metro, sentiamo un amico. Si parla solo di una cosa. Il Covid ha monopolizzato le nostre esistenze, ci lacera all’interno. Aiutato dalla stampa a caccia di notizie sensazionali e da governi che troppo spesso, non sapendo gestire la situazione, impongono misure sempre più rigide e intollerabili, provoca una psicosi collettiva che non fa che generarne altra.

E mentre un nuovo, inquietante lockdown ci accompagna, fantasma, nelle nostre giornate, le passiamo lavorando, poi chiudendoci in casa. Impossibilitati di fare due chiacchiere con un amico per cercare di distrarci. Ma sarà davvero necessario? O staremo forse esagerando?

Le cifre, i tamponi

Guardiamo un attimo le cose con un po’ di obiettività. Pensiamo alla Francia. Ieri si leggeva, nelle ultime 24 ore, il bilancio di più di 45000 persone contagiate. Incredibile, certo. Ma guardiamo ai morti: 137. Non c’è bisogno di essere Einstein per rendersi conto del bassissimo, infimo, tasso di mortalità. In Francia i test sono gratuiti e anche per questo molto, molto numerosi. Ecco i 45000 spiegati. Perché il virus è nell’aria e probabilmente in quasi tutti noi, ma in forme non per forza violente.

Lo spiegava, qualche giorno fa, il Prof. Palù, virologo da anni, non dallo scoppio del Covid. Spiegava che il fatto di essere contagiati non implica necessariamente il rischio di finire sotto un respiratore né di poter trasmettere il virus ad altri. Che questa è la maniera in cui un virus si manifesta. Che ci stiamo lasciando portare da un’ossessione – quella sì, pericolosamente contagiosa – verso qualcosa che attualmente uccide molto meno di malattie come il cancro. Di una semplice influenza. Degli incidenti stradali. Dei suicidi.

Eppure i DPCM si susseguono – ma perché così tanti? – sempre più minacciosi. L’ultimo, di questa mattina, informa gli italiani che bar e ristoranti dovranno chiudere alle 18 a partire da domani e bandisce ulteriori attività culturali, tra le altre clausole. Il coprifuoco è già attivo dalle 23. Praticamente la morte sociale.

Non ci resta che ridere

Poveri noi. Con un panorama dei prossimi mesi volto solo a causarci una depressione acuta. Con prospettive di lavoro tutto il giorno e a massima distanza dalla gente. Contatto e socialità ridotti quasi a zero. Forse, insieme ai mille virologi, dovrebbero farsi ascoltare di più gli psicologi sull’influenza dannifica che questo stato – prolungato, esasperato – delle cose rischia di avere sulle persone.

Per non parlare dei commerci. Delle attività che chiudono senza speranza. Di un debito che aumenta a dismisura e di cui chi dovrà ripagarlo non ha ancora nemmeno la coscienza. Di malattie che non vengono curate perché quasi tutti i posti degli ospedali sono riservati ai malati Covid. Di personale sanitario che nei mesi estivi di incosciente libertà non è stato né incrementato né gratificato per il durissimo lavoro degli ultimi mesi.

Si copiano a vicenda, i capi di Stato. Uno dice coprifuoco, l’altro segue a ruota. Un lockdown viene paventato, se ne parla subito dopo nei Paesi confinanti. Ma secondo quali regole? Così rimaniamo, inermi, mascherati, privati del minimo contatto umano. Annebbiati. Al buio dell’ora solare. A chiederci se a un certo punto questa psicosi, più che il virus, potrà svanire. Solo l’ironia ci può salvare. Sperando che almeno quella non sia messa al bando.

 

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