Samardzic- Inter: un’opportunità persa…per il giocatore

Nei giorni scorsi, il mancato trasferimento di Lazar Samardzic dall’Udinese all’Inter ha destato non poco scalpore visto che il giovane giocatore serbo, dopo che i due club avevano trovato piena intesa sulla cifra della vendita, si era difatti già sottoposto alle visite mediche di rito con la squadra nerazzurra e quando ormai tutto sembrava volgere verso un lieto fine, si è però verificato un “intoppo” legato alle inaspettate pretese del padre del calciatore che ha di fatto comportato un arresto, prima temporaneo e poi definitivo della trattativa.

La vicenda è nota: Marotta e Ausilio avevano trattato i termini dell’ingaggio del giocatore con l’allora procuratore Rafaela Pimenta, raggiungendo una piena intesa sulle cifre. Tuttavia, al momento di passare alla firma del contratto, il padre del calciatore (che nel frattempo aveva esautorato la Pimenta facendosi affiancare da altro procuratore), ha chiesto ai dirigenti della squadra milanese di rinegoziare i termini dell’accordo accampando nuove pretese, sia sull’ingaggio che sulle commissioni (che in ogni caso chiedeva riconoscere a sè e non alla Pimenta).Ai dirigenti dell’Inter queste richieste non sono però piaciute visto che hanno rappresentato un improvviso “cambio delle carte in tavola”; gli stessi hanno pertanto ribadito al padre del giocatore di non intendere modificare di una sola virgola l’accordo già raggiunto con la Pimenta, assegnandogli qualche giorno di tempo per decidere se accettarlo o meno.

L’affare saltato 

Nonostante i buoni uffici dell’Udinese (che tentava una vana intermediazione) l’affare però è saltato visto che il padre di Samardzic (che nel frattempo aveva deciso di avvalersi dell’opera di un terzo procuratore), non ha abbassato le sue pretese o comunque non ha accettato i termini dell’accordo già a suo tempo raggiunto. Al di là di questi fatti di cronaca, questa vicenda impone una riflessione sul ruolo dei c.d. “parenti-agenti”, i quali, senza essere dei veri “agenti” e soprattutto non avendo la necessaria preparazione di un vero e proprio procuratore sportivo, spesso finiscono col creare dei danni ai propri familiari.E’ proprio l’approccio “dilettantistico” di queste figure che certamente contribuisce a destare una massiccia dose di malumore degli appassionati di calcio nei confronti della figura del procuratore sportivo, la quale viene di fatto lesa proprio dal comportamento poco professionale di soggetti che in realtà non sono qualificati rispetto all’attività che intendono compiere.E’ chiaro, infatti, che in molti casi l’agente (quello “vero”) è un soggetto determinante nell’ambito di una trattativa volta al trasferimento di un calciatore, in quanto, grazie alla sua esperienza ed alla conoscenza delle questioni economico/giuridiche sottese al trasferimento riesce a far si che esso si concluda con successo. Orbene, ritornando al caso Samardzic, l’Inter aveva già concluso con un procuratore professionista (Rafaela Pimenta erede di Mino Raiola) i termini dell’ingaggio.

Il dietrofront dopo aver svolto le viste mediche con l’Inter

Il successivo dietrofront del padre del ragazzo (con le sue più esose richieste economiche) appare un modo di fare non solo dilettantistico ma anche “autolesionista” in quanto potrebbe finire con l’arrecare danno alla stessa carriera del figlio.Non vestire la maglia nerazzurra, ovvero della squadra vice-campione d’Europa (e tra le più blasonate al mondo) solo per tentare di ottenere un maggiore ingaggio del calciatore e/o maggiori commissioni (rispetto a quanto già concordato con il procuratore “professionista”) costituisce, difatti, un evidente “autogol” da parte del padre del centrocampista della squadra friulana.E’ innegabile, in tal senso, che il giovane calciatore serbo ha di fatto perso una grande opportunità di crescita professionale.D’altronde, le richieste del padre del ragazzo appaiono ancor più incomprensibili se si considera che quest’ultimo non è certamente un giocatore affermato visto che ha ancora tanto da dimostrare. Sorprendente è comunque anche il comportamento tenuto nella vicenda dallo stesso giocatore serbo, il quale, pur avendo a più riprese fatto capire di avere una grande voglia di vestire la maglia nerazzurra, non ha però avuto la forza di imporsi, lasciando che a decidere del suo futuro fosse solo il padre.

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