L’Iran minaccia vendetta su Israele. Ora Teheran farà sul serio?

Dal 7 ottobre a oggi, l’Iran non è entrato direttamente in guerra con Israele. La morte di Zahedi potrebbe però mutare la strategia iraniana nel conflitto.

Il generale iraniano Mohammad Reza Zahedi, ucciso in un attacco aereo dalle truppe israeliane a Damasco l'1 aprile

Lunedì 1 aprile un edificio del consolato iraniano nel quartiere di Mezzeh, a Damasco, è stato bersagliato da un aereo israeliano. L’attacco ha portato alla morte di 8 iraniani, tra cui due comandanti di alto livello della Forza Quds, un reparto d’eccellenza dei Guardiani della rivoluzione islamica. Uno di loro era Mohammad Reza Zahedi, un generale delle forze armate di Teheran impegnate alla frontiera con Israele. La Guida suprema iraniana Ali Khamenei ha minacciato Tel Aviv di vendicare questo attacco. Fino ad ora Teheran ha mantenuto una posizione di “pazienza strategica” nei confronti di Israele, foraggiando gli alleati regionali ed evitando di coinvolgersi direttamente nel conflitto. Come reagirà all’uccisione di uno dei suoi uomini più importanti sul proprio territorio? La sensazione degli osservatori internazionali è che la guerra a distanza tra Israele e Iran possa ora conoscere una nuova fase.

Un regista silenzioso

Da quando a inizio ottobre è iniziato l’assedio di Israele nella Striscia di Gaza, l’Iran ha sempre operato indirettamente nei confronti del rivale sionista. Alla guida del cosiddetto “asse della resistenza”, Teheran ha mosso i fili dei suoi proxy regionali per danneggiare Tel Aviv. Innanzitutto, non ha mai smesso di sostenere Hezbollah nei suoi attacchi al confine settentrionale con Israele: qui è in corso da più di sei mesi un conflitto a bassa intensità, che per il momento non ha mai portato a un escalation militare.

Inoltre, la Repubblica islamica ha usato la pedina dei miliziani Houthi per insidiare le navi considerate legate a Israele. I missili lanciati dal gruppo armato yemenita contro le mercantili nello stretto di Bab-el-Mandeb hanno fatto deflagrare ulteriormente la tensione nella regione, a partire dalla metà di novembre. Infine, Teheran ha potuto contare su delle milizie sciite attive in Iraq e Siria, responsabili di attacchi contro obiettivi statunitensi in questi due Paesi. Da febbraio, a seguito della risposta delle truppe di Washington, l’attività dei gruppi filoiraniani è però andata calando.

In virtù di queste alleanze, l’Iran non ha mai sentito la necessità di svelare agli altri attori la propria presenza nell’area. È stato un regista silenzioso, celato dietro ai colpi sferrati dai suoi proxy ai danni di Tel Aviv. Ma qual è il suo obiettivo? Grazie a tale anonimato fittizio, Teheran si è garantita una legittimazione agli occhi degli altri membri dell’asse della resistenza, senza compromettersi in un conflitto regionale.

Di fatto, per l’Iran lo scoppio del conflitto israelo-palestinese è stato un’occasione per ribadire il proprio ruolo di leader nel quadrante mediorientale. Teheran non ha mai avuto a cuore la causa palestinese. Stando dietro le quinte della scena bellica, dunque, la Repubblica islamica ha incrementato il proprio peso politico nell’area senza sporcarsi  le mani con il sangue israeliano.

Fine della pazienza?

Questa “pazienza strategica”, però, potrebbe ora mostrare segni di cedimento, e mutare gli assetti del confronto tra Iran e Israele. Negli scorsi mesi erano stati sferrati attacchi verso la Forza Quds dallo stato ebraico. La Guida suprema aveva annunciato ritorsioni nei confronti dei responsabili, ma nulla di concreto era stato fatto. La morte di Mohammad Reza Zahedi potrebbe invece portare a delle conseguenze.

Secondo Robbie Gramer di Foreign Policy, l’uccisione dell’alto ufficiale iraniano potrebbe dare luogo a diversi scenari. In primis, il giornalista prevede che l’evento di lunedì 1 aprile possa condurre o a uno scontro a suon di missili tra Tel Aviv e Teheran, oppure a semplici rappresaglie verso obiettivi collaterali. Il secondo scenario ipotizzato riguarda il fronte statunitense: in questo caso, la longa mano iraniana opererebbe per mezzo delle milizie sciite in Iraq e in Siria, riaccendendo lo scontro con le basi americane. Infine, Gramer afferma che potrebbe infiammarsi la frontiera tra Israele e Libano, trasformando le semplici rappresaglie di questi mesi in una guerra aperta.

Alex Vatanka, direttore del programma Iran del Middle East Institute, sostiene che l’uccisione di Zahedi abbia intaccato l’immagine di Teheran agli occhi dei suoi proxy. E le probabilità che reagisca per ripristinare il suo ruolo di leader indiscusso nella regione sono alte. Secondo alcune voci, sabato 6 aprile, a margine del funerale di Zahedi a Isfahan, i Pasdaran deputati a coordinare l’eventuale ritorsione si sono dati appuntamento nella Base 8, un bunker realizzato per proteggersi dai bombardamenti israeliani.

Per il momento tutto tace. Le uniche informazioni sul piano d’attacco sono state rilasciate dal capo di Stato Maggiore, Mohammad Bagheri: «Il piano partirà al momento opportuno, con la precisione necessaria per creare il danno peggiore al nemico». Una dichiarazione fumosa, che però potrebbe rivelare il cambio di atteggiamento dell’Iran nel quadrante mediorientale.