Sin dall’inizio della Guerra di Gaza i mezzi di informazione internazionali hanno preso per buone le cifre che Hamas dà sul numero di vittime nella Striscia, anche perché a Gaza non ci sono fonti indipendenti che producono questo conteggio. Alcuni giornali hanno avuto la buona creanza di scrivere che questi dati erano forniti dal “Ministero della Sanità di Gaza controllato da Hamas”, altri non hanno sentito il bisogno di usare questa accortezza ed hanno attribuito le cifre di Hamas a non meglio precisate: “Autorità di Gaza”, una formulazione che sembra fatta apposta per fare apparire la fonte dei dati come neutrale. Il dato di Hamas, ripetuto come un eco dai media, si aggira oggi intorno alle 34.000 vittime, inclusi i miliziani di Hamas e delle altre Organizzazioni che combattono a Gaza, (la cui consistenza non è mai stata specificata), il 70% circa di queste vittime sarebbero donne e bambini.
In data 8 maggio, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento delle Questioni Umanitarie, oltre ad indicare il numero delle vittime riportate da Hamas, ha rilasciato anche un conteggio delle vittime identificate al 30 aprile scorso, si noti bene: non delle “vittime riportate” ma di quelle identificate. Secondo questo rapporto il totale delle vittime identificate ammonta a 24.686 persone, delle quali il 40% sono uomini (10.006), il 32% sono bambini (7.797), il 20% sono donne (4.959), l’8% sono anziani (1.924). Secondo i dati di Hamas sulle vittime “riportate” (34.735), il numero degli uomini è di 10.735, 9.500 sarebbero le donne e 14.500 i bambini. Balza all’occhio come il numero di vittime identificate indicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per quanto riguarda le donne ed i bambini sia quasi del 50% inferiore a quello delle vittime “riportate” distribuito da Hamas, mentre il numero degli uomini è pressoché uguale. Questa discrepanza induce ad una riflessione: il dato di Hamas va nella direzione del “genocidio”: tante donne, tanti bambini uccisi e pochi uomini, il dato dell’ONU vi apporta una decisa correzione. Hamas potrebbe ancora avere ragione in un unico caso: le supposte 10.000 vittime “riportate” ma non ancora identificate dovrebbero essere composte quasi totalmente da donne e bambini, il che fa a pugni con qualsiasi logica. Rimane poi il ragionevole dubbio su come Hamas riesca ad attribuire sesso ed età a vittime che ancora non si è riusciti ad identificare.
Sui “bambini” si rende necessaria una precisazione, la Convenzione delle Nazioni Unite per i Diritti dell’Infanzia definisce come “bambino” ogni essere umano al di sotto dei 18 anni di età. Chi ha un poco di conoscenza della letteratura sulla guerra partigiana in Italia sa che, fucile in spalla, tra i partigiani italiani c’erano anche bambini di 14-15 anni; dunque può essere ragionevole pensare – anche alla luce delle immagini che vennero diffuse durante le Intifada palestinesi – che tra i “bambini” conteggiati ci possa essere una quota di giovanissimi combattenti. Tra gli “anziani” dovrebbero essere incluse tutte le persone al di sopra dei 60 anni di età.
Colpisce chi scrive che nessun giornale a grande diffusione abbia finora citato il dato riportato dall’ONU l’8 maggio; eppure i media dovrebbero essere ansiosi di riferire sulla credibilità delle cifre che Hamas ci indica; questa inoltre sarebbe per loro una buona occasione per ricordare ai lettori due cose fondamentali: a) stabilire il numero di vittime civili e di vittime militari nelle guerre asimmetriche è cosa difficilissima, a volte pressoché impossibile; b) dare per buoni i dati distribuiti da una sola delle parti in conflitto – qualunque essa sia – non è mai una buona politica di informazione.
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