Armi, retorica e condanne morali, il prezzo di una politica senza visione

Chi ha alimentato il conflitto ha sulla coscienza una crisi che segnerà le generazioni future.

Ucraina Europa

La guerra in Ucraina si è rivelata non solo una tragedia umanitaria, ma anche un banco di prova che ha smascherato i limiti e le contraddizioni della politica italiana ed europea. A distanza di tre anni dall’inizio del conflitto, emergono con chiarezza gli errori di chi ha puntato esclusivamente sulla via militare, chiudendo ogni spazio al dialogo e demonizzando qualsiasi posizione pacifista. Una scelta che, secondo voci critiche sempre più condivise, ha portato l’Europa e l’Italia a trovarsi dalla parte sbagliata della storia, con conseguenze che rischiamo di pagare a lungo.

Il fulcro della critica riguarda la cosiddetta “tenaglia” tra la fascinazione per Putin, che ha influenzato alcune forze politiche italiane, e un atlantismo estremo e acritico. Due posizioni opposte ma ugualmente miopi, che hanno impedito all’Europa di giocare un ruolo politico autonomo e costruttivo. L’idea che la guerra potesse essere risolta esclusivamente con le armi è stata smentita dai fatti. Il risultato è una crisi politica profonda, con il rischio concreto che l’Unione Europea, così come la conosciamo, possa dissolversi sotto la pressione congiunta di Trump da una parte e Putin dall’altra. Un’Europa incapace di affermare una propria linea diplomatica si è trasformata in uno spettatore passivo, vittima delle proprie divisioni interne e della dipendenza dalle scelte statunitensi.

La responsabilità della classe politica italiana

Ritengo che una delle colpe principali ricada sulla classe politica italiana, non solo per aver sostenuto in modo acritico l’invio di armi, ma anche per aver criminalizzato chiunque proponesse una via alternativa. Chi ha alimentato la retorica bellica dovrebbe provare vergogna, perché ha contribuito a polarizzare il dibattito pubblico, impedendo una discussione seria e costruttiva. Mi riferisco sia al sistema mediatico sia ai partiti che hanno bollato come “filo-putiniani” tutti coloro che chiedevano realismo e una soluzione diplomatica. Questa etichetta ha messo al bando il movimento pacifista italiano, cancellando ogni spazio di confronto e riducendo la politica estera a una scelta binaria: o sostenere militarmente l’Ucraina o essere accusati di complicità con Putin.

Eppure, il tempo ha dimostrato che il realismo invocato da queste voci critiche non era sinonimo di resa, ma l’unica strada per evitare un conflitto prolungato e devastante. Oggi si dialoga con Putin, dopo anni in cui si sosteneva che con il “diavolo” non si dovesse trattare. La realtà ha costretto anche i più intransigenti ad ammettere che nessuna guerra può essere vinta senza diplomazia. Tuttavia, questo tardivo cambio di rotta non cancella gli errori del passato. Chi ha alimentato la retorica bellica dovrà assumersi la responsabilità di un fallimento che peserà sulle generazioni future.

Un’Europa assente e miope

Ciò che trovo particolarmente preoccupante è l’assenza di un’Europa lungimirante. Un’Unione incapace di affermare una politica estera autonoma si condanna all’irrilevanza, lasciando il destino del continente nelle mani di potenze esterne. Questo è il frutto di scelte dettate più dall’emotività che dalla strategia, più dalla paura di apparire deboli che dalla volontà di costruire la pace.

La storia ci insegna che gli errori si pagano. E temo che l’Italia, insieme all’Europa, rischi di pagare caro il prezzo di una politica miope, incapace di guardare oltre l’immediato e di immaginare un futuro di pace e stabilità. Quando il conflitto sarà terminato, resterà la domanda su chi abbia davvero avuto il coraggio di scegliere la strada giusta. E forse, solo allora, qualcuno dovrà chiedere scusa.