Silvia Salis, la forza gentile di cui il centrosinistra ha bisogno

Dalla pedana olimpica alla guida di Genova: un esempio di leadership concreta che il campo progressista farebbe bene a non ignorare.

Silvia Salis

Nel panorama spesso grigio e autoreferenziale della politica italiana, l’elezione di Silvia Salis a sindaca di Genova appare come una ventata d’aria fresca, carica di significato e, soprattutto, di possibilità. Non è solo la storia dell’ex atleta che diventa prima cittadina della sua città natale, ma il simbolo di una politica che potrebbe tornare a parlare un linguaggio comprensibile, ispirato, e profondamente radicato nella realtà delle persone. Una politica che serve e non si serve.

Salis non è una professionista della politica nel senso più deteriore del termine. È una donna che ha conosciuto la disciplina, il sacrificio e la sconfitta, come accade nello sport, e come raramente accade nella carriera imbalsamata di molti dirigenti di partito. È cresciuta nel cuore popolare di Genova, figlia di un militante comunista e storico custode dell’impianto sportivo di Villa Gentile. Il suo percorso, da atleta olimpica a dirigente del Coni fino all’elezione a sindaca con il 54,1% dei voti al primo turno, parla di un talento naturale per la leadership, e di una capacità di unire mondi e sensibilità diverse, dai cittadini comuni agli apparati istituzionali.

La sua candidatura, civica, autonoma, ma sostenuta da una coalizione larga che ha messo insieme PD, Movimento 5 Stelle, Italia Viva, Azione e la sinistra ecologista, è riuscita dove spesso il centrosinistra fallisce: tenere insieme le sue anime senza trasformarle in correnti centrifughe. Silvia Salis non ha promesso miracoli, ma ha saputo parlare con semplicità e fermezza di temi concreti: lavoro stabile, povertà educativa, servizi pubblici, transizione ecologica, rigenerazione urbana. Ha mostrato che la competenza può essere appassionata, e che la passione può essere lucida.

In un’Italia che cerca disperatamente nuovi volti credibili,  Silvia Salis si staglia come una figura potenzialmente decisiva per il futuro del centrosinistra. Perché non ha bisogno di farsi leader: lo è già nei fatti. Perché rappresenta una generazione che ha visto il crollo delle ideologie e pretende ora una politica che funzioni. E perché il suo successo parla anche a quella parte di Paese che si è rifugiata nell’astensione, disillusa da un campo progressista incapace di darsi una visione comune e un metodo condiviso.

La domanda, allora, non è se Silvia Salis possa essere una futura leader nazionale del centrosinistra. La domanda vera è: il centrosinistra sarà in grado di riconoscerla, sostenerla, proteggerla dalla tentazione tutta italiana di logorare chi emerge senza aver fatto la trafila dei circoli, delle tessere e delle correnti?

Il centrosinistra è malato di autoreferenzialità, perennemente intrappolato tra le ambizioni personali dei suoi dirigenti e le litigiosità delle sue sigle. Ha bisogno come il pane di figure come Silvia Salis, capaci di parlare a tutti senza tradire sé stesse, di unire senza appiattire. Ma per farlo, deve prima decidere cosa vuole essere: un fronte litigioso di minoranze velleitarie o una casa politica ampia e solida, dove chi ha qualcosa da dire e da fare trovi davvero spazio.

Silvia Salis ha iniziato il suo cammino da sindaca con parole semplici e forti: “Genova deve diventare più giusta, più solidale e più forte”. Sarebbe un errore limitare quella visione ai confini della sua città. È tempo che il centrosinistra tutto, se ancora vuole avere un futuro, ascolti con attenzione. E, per una volta, impari.