
Il vertice tra Vladimir Putin e Donald Trump, previsto per Venerdì 15 Agosto in Alaska, ha riacceso il dibattito internazionale sulla possibilità di una svolta nella guerra in Ucraina. Tuttavia, un’analisi realistica delle posizioni in campo suggerisce che l’incontro, pur importante sul piano diplomatico, difficilmente produrrà risultati concreti.
Da parte russa, le condizioni restano sostanzialmente immutate rispetto a quelle già respinte da Kiev nei mesi e negli anni passati. Mosca chiede il riconoscimento internazionale delle annessioni, Crimea compresa, la rinuncia dell’Ucraina a entrare nella NATO, limiti severi alle forze armate di Kiev e un ritorno alla cosiddetta “neutralità” che altro non sarebbe che un rientro nell’orbita di influenza russa. Il tutto accompagnato dalla fine delle sanzioni, dalla ripresa delle relazioni economiche e dal divieto di stazionamento di truppe occidentali sul suolo ucraino.
Si tratta di richieste che, nella sostanza, equivalgono a una resa de facto, anche se confezionata in formule negoziali e aperture apparenti. Non è un caso che analisti come Tatiana Stanovaya abbiano sottolineato come Mosca giochi su sfumature e lessico per dare l’impressione di voler trattare, mantenendo però intatta la propria linea di fondo.
La posizione di Zelensky
Sul fronte ucraino, la posizione di Volodymyr Zelensky rimane ferma: cessate il fuoco solo se incondizionato, nessun arretramento sulla sovranità nazionale, rifiuto di qualsiasi limitazione militare o politica imposta da Mosca. L’obiettivo è chiaro: mantenere il diritto di scegliere alleanze e garantire la difesa del territorio, con la prospettiva di un’adesione alla NATO come garanzia ultima contro future aggressioni.
Donald Trump, dal canto suo, sembra voler giocare il ruolo di mediatore “forte”, pronto a proporre un accordo che includa scambi territoriali “a beneficio di entrambe le parti”. Tuttavia, il rischio per Kiev e per molti partner europei è che un negoziato bilaterale Putin-Trump, senza la presenza ucraina al tavolo, finisca per tradursi in pressioni unilaterali su Zelensky affinché accetti concessioni sostanziali.
La guerra secondo Putin
La realtà è che Putin appare convinto che il tempo giochi a suo favore. Le forze ucraine, logorate e in difficoltà su più fronti, affrontano una pressione militare costante, mentre Mosca punta a consolidare e ampliare la propria “zona cuscinetto”. In questo quadro, un vertice con Trump può rappresentare per il Cremlino un’occasione per legittimare le proprie conquiste e ottenere, se non un riconoscimento formale, almeno un congelamento della situazione attuale.
Eppure, per quanto l’esito più probabile sembri essere un nulla di fatto, l’incontro resta utile. La diplomazia non può permettersi il lusso di chiudere ogni canale di comunicazione, specialmente in un conflitto che ha conseguenze globali sulla sicurezza, sull’economia e sugli equilibri geopolitici. Anche un vertice senza accordo può servire a sondare le intenzioni reciproche, ridurre i rischi di escalation e mantenere aperte le porte a futuri negoziati.
Non bisogna però coltivare illusioni: la guerra in Ucraina è oggi in una fase in cui le posizioni fondamentali restano inconciliabili. Mosca punta a formalizzare le sue conquiste e a ridurre l’Ucraina a Stato cuscinetto; Kiev mira a salvaguardare la propria integrità territoriale e a legarsi più strettamente all’Occidente. Nessun incontro, per quanto mediato da una figura di peso, può colmare un divario così profondo in una sola seduta.
Il vertice Putin-Trump
Comunque il vertice Putin-Trump va accolto come un passo diplomatico utile, ma non come la vigilia di un accordo storico. La vera sfida sarà capire se, nei prossimi mesi, le parti saranno disposte a rivedere almeno in parte le proprie richieste iniziali. Fino ad allora, parlare di pace resterà più un esercizio retorico che una prospettiva concreta.