
“Until Dawn: Fino all’alba” si apre con un impianto narrativo più che familiare: un gruppo di giovani si rifugia in un luogo isolato, e gli eventi prendono una piega inquietante. Fin qui nulla di nuovo per chi mastica horror da anni. I richiami ai classici del genere – da “Non aprite quella porta” a “The Strangers” – sono palesi, così come la sensazione iniziale di assistere all’ennesima riproposizione degli stessi, logori meccanismi.
Il colpo di scena è il film stesso
Eppure, appena lo spettatore si rilassa nel comfort del cliché, “Until Dawn” cambia marcia. Come un videogioco che attende il momento giusto per mostrarti la vera missione, anche il film rallenta, fa un passo indietro, strizza l’occhio – e si reinventa. Da horror fotocopiato, si trasforma in una storia che gioca apertamente con i suoi stessi elementi, suggerendo che la ripetizione non è pigrizia, ma struttura narrativa.
Dentro il loop: regole, morte e tentativi
Il vero cuore del film è il suo loop temporale: ogni volta che i protagonisti muoiono, la storia riparte, lasciando però qualche traccia dell’esperienza precedente. È qui che l’adattamento si fa interessante: il concetto del “prova e riprova” tipico dei videogiochi si insinua nella trama cinematografica, non solo omaggiando la sua origine ludica, ma abbracciandola in pieno. Il risultato? Un horror che cresce per livelli, come un gioco che diventa sempre più difficile – e coinvolgente.
Più gioco che paura: e va bene così
Sebbene i jumpscare facciano il loro dovere e l’atmosfera sia carica di tensione, “Until Dawn” non ha la pretesa di terrorizzare sul serio. Preferisce divertirsi – e far divertire – con trovate sopra le righe, esplosioni improvvise, e un gusto per l’esagerazione che flirta apertamente con lo slasher più macabro. Quando anche i personaggi capiscono di essere dentro un meccanismo impazzito, lo spettatore si lascia trascinare nella giostra.
Una confezione poco originale, ma un’anima sorprendente
Dal punto di vista estetico, il film resta nei binari del prodotto industriale: fotografia standard, montaggio pulito, nessun vero guizzo visivo. Ma la regia di David F. Sandberg sa come muoversi tra umorismo, tensione e ritmo, mentre la sceneggiatura di Gary Dauberman e Blair Butler inserisce riflessioni (meta) sottili sul genere stesso. È un film che non si prende troppo sul serio, e proprio per questo riesce a essere più onesto – e riuscito – di tanti altri horror confezionati alla perfezione ma vuoti dentro.
Un horror per chi sa che sta giocando
“Until Dawn: Fino all’alba” è un film che inganna in superficie e sorprende nel profondo. Un horror che finge di essere uno dei tanti, per poi rivelarsi un esperimento sul linguaggio stesso del genere, contaminato dal mondo dei videogiochi. Non è un capolavoro, ma è abbastanza intelligente da meritare un’occhiata – soprattutto se vi piace vedere le regole infrante, una morte alla volta.