Un’Italia che non resta indifferente

Le piazze per la Palestina raccontano una coscienza civile più viva della classe dirigente

Corteo Nazionale per la Palestina

Roma, ieri. Una folla imponente ha attraversato la città in un corteo pacifico e partecipato, che resterà nella memoria collettiva. Secondo gli organizzatori erano un milione, per la questura molti meno: in ogni caso, è stata una manifestazione storica di grande portata, con persone di ogni età e provenienza unite da un obiettivo comune, chiedere la fine della guerra a Gaza e affermare il diritto universale alla pace.

Un’Italia che si risveglia

Chi era in piazza ha visto un’Italia diversa da quella che spesso si racconta: partecipe, consapevole, capace di indignarsi davanti alla sofferenza altrui e al silenzio della politica. La manifestazione di Roma, come quelle che l’hanno preceduta nei giorni scorsi, non è stata espressione di una singola parte politica, ma il segno di un sentimento diffuso e trasversale che attraversa il Paese.

Oltre gli incidenti

Certo, come sempre accade, non sono mancati episodi isolati di tensione a causa di qualche imbecille, che non devono però oscurare la natura pacifica e civile dell’evento. Ridurre una mobilitazione di tale portata a pochi momenti di disordine sarebbe un errore. Le centinaia di migliaia di persone scese in strada non erano spinte da odio o ideologia, ma dal rifiuto sincero della violenza e dalla volontà di dare voce a chi oggi non ne ha.

La reazione del governo

Il governo, tuttavia, ha reagito con sufficienza. La presidente del Consiglio ha liquidato le proteste come un “weekend lungo”, minimizzando un fenomeno che meriterebbe invece ascolto e rispetto. In oltre cento città italiane, milioni di persone hanno manifestato per chiedere una posizione chiara dell’Italia contro la guerra e contro la logica della vendetta che sta devastando Gaza.

L’alleanza con Netanyahu

Il legame politico e militare con il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu, accusato da molte organizzazioni internazionali di violazioni gravi dei diritti umani, è oggi motivo di crescente disagio nel Paese. Tacere o giustificare di fronte alle immagini di distruzione e di morte significa perdere credibilità morale.

Una società che non si arrende

Eppure, da queste giornate emerge anche un dato positivo: una parte viva della società italiana ha deciso di non restare indifferente. Migliaia di persone, senza appartenenze o sigle, hanno scelto di scendere in piazza per affermare un principio semplice ma fondamentale, nessuna causa può legittimare la distruzione di un popolo. È una spinta civile e umana, che attraversa le generazioni e che meriterebbe di essere compresa, non derisa.

Il segnale delle piazze

Chi governa dovrebbe cogliere il segnale che viene dalle piazze: un crescente distacco tra la politica e i cittadini, tra chi decide e chi vive ogni giorno le conseguenze delle scelte internazionali.

Roma ha mostrato che la partecipazione civile è ancora possibile e che la democrazia, seppure ferita, è viva. Dietro ogni bandiera e ogni cartello c’era una domanda che riguarda tutti: da che parte vogliamo stare di fronte all’ingiustizia e alla guerra?

Finché il governo risponderà con chiusura e sarcasmo, il malcontento continuerà a crescere. E quando se ne riconosceranno i segnali, sarà ormai evidente che quel movimento silenzioso e tenace rappresenta la parte migliore del Paese.