Il sogno americano sotto esame: gli Stati Uniti e la crisi del mito

Tra politiche migratorie restrittive e un clima sempre più ostile, l’immagine degli Stati Uniti come terra di accoglienza e opportunità si sta incrinando nel mondo.

Stati Uniti

Per generazioni, milioni di persone nel mondo hanno guardato agli Stati Uniti come luogo in cui i sogni diventano realtà. Ma oggi, quella visione romantica sembra vacillare. Le politiche di deportazione di massa sostenute da Donald Trump stanno modificando radicalmente l’immagine dell’America, non solo all’interno dei confini nazionali ma anche a livello globale. Le comunità migranti a Los Angeles, i campus universitari e perfino le chiese vivono un clima di crescente incertezza e paura.

Le nuove direttive anti-immigrazione hanno alimentato un ripensamento collettivo: gli Stati Uniti sono ancora il Paese delle opportunità? O il mito del sogno americano sta lentamente svanendo?

Stati Uniti: crollo attrattivo per studenti e viaggiatori

L’interesse degli studenti internazionali verso le università americane ha toccato il livello più basso dall’epoca della pandemia, secondo i dati di Studyportals, piattaforma che monitora le ricerche globali sullo studio all’estero. Edwin van Rest, CEO dell’azienda, ha affermato che il messaggio che arriva da Washington è chiaro: “Non siete i benvenuti”.

Non solo l’istruzione, ma anche settori come turismo, commercio ed entertainment stanno subendo una contrazione nell’interesse straniero. Un sondaggio del Pew Research Center ha rilevato un calo della fiducia verso gli USA in 15 su 24 Paesi esaminati, confermando una tendenza preoccupante.

Paura e diffidenza: la nuova percezione degli Stati Uniti

A turbare l’immagine degli Stati Uniti sono anche i provvedimenti presi contro gli studenti stranieri coinvolti in proteste pro-palestinesi. Non da meno la retorica che dipinge gli immigrati — regolari o irregolari — come una minaccia alla sicurezza nazionale. Le parole di Trump e dei suoi sostenitori hanno generato un clima d’ansia anche tra i turisti. In rete, sono sempre più frequenti i post che mettono in dubbio la sicurezza di un viaggio negli USA.

Come ironicamente ha scritto un utente australiano su Reddit: “Andare in America oggi è come una battuta di Dirty Harry: Ti senti fortunato?”

Contraddizioni storiche: una nazione costruita da immigrati

La posizione dura sull’immigrazione appare tanto più paradossale considerando la storia stessa della famiglia Trump. Il nonno dell’ex presidente, Friedrich Trump, emigrò dalla Germania nel 1885 in cerca di fortuna. Dopo aver ottenuto la cittadinanza statunitense, tentò di tornare nel suo Paese natale. Peccato che fu espulso per non aver assolto agli obblighi militari. In una lettera accorata, descrisse quanto fosse “molto, molto difficile per una famiglia” essere deportata.

Anche le mogli di Trump sono immigrate: Ivana Trump, ceca, e Melania Trump, slovena. La storia personale dell’ex presidente è dunque intrecciata con le dinamiche migratorie che oggi attacca con veemenza.

Un Paese diviso tra accoglienza e rifiuto

Gli Stati Uniti sono da sempre un mosaico etnico e culturale. Un Paese plasmato dall’arrivo di europei, asiatici, africani (spesso schiavizzati), latinoamericani. La crescita demografica del 2024, spinta soprattutto dall’immigrazione (2,8 milioni in più rispetto all’anno precedente), conferma quanto gli stranieri continuino a essere una forza vitale per l’economia americana.

Tuttavia, il Paese resta profondamente diviso: da un lato, chi vede negli immigrati una minaccia economica o culturale; dall’altro, chi considera l’immigrazione una fonte essenziale di rinnovamento.

Ipocrisie e memoria corta: le radici dimenticate

Gli Stati Uniti sono un Paese costruito quasi interamente da immigrati. Un insieme di europei, africani (molti dei quali portati come schiavi), asiatici, latinoamericani, ecc. L’unica popolazione veramente autoctona sono i nativi americani. E che fine hanno fatto? Sono stati storicamente emarginati, espropriati delle loro terre e decimati.

Quindi, quando un presidente come Donald Trump promuove politiche di deportazione o restrizioni migratorie, in particolare contro immigrati latinoamericani, musulmani o persone senza documenti, si crea una forte incongruenza rispetto alla narrativa tradizionale americana del “Paese delle opportunità” e del “melting pot.”

Gli Stati Uniti celebrano l’immigrazione europea del passato (come gli irlandesi o gli italiani) ma spesso rigettano l’immigrazione più recente, soprattutto se non bianca o cristiana.

Molti americani dimenticano che i loro stessi avi affrontarono gli stessi ostacoli e pregiudizi. In tempi di crisi economica o sociale, l’immigrato torna a essere il capro espiatorio, in un ciclo che si ripete senza tregua.

La posta in gioco: l’identità degli Stati Uniti

Alla base di questo dibattito c’è una domanda fondamentale: chi è davvero “americano”? La risposta non è mai stata semplice. Il Paese è nato da una colonizzazione violenta, popolato da schiavi e da emigranti in cerca di speranza. Eppure, nel tempo ha costruito una narrativa fatta di libertà, eguaglianza e accoglienza.

Oggi, quella narrativa è in crisi. L’America rischia di perdere la sua identità di “terra promessa” se continuerà a chiudersi al mondo esterno. Le conseguenze non saranno solo culturali, ma anche economiche e geopolitiche.

Quale futuro per il sogno americano?

Il sogno americano non è morto, ma è certamente sotto attacco. Le scelte politiche, le retoriche divisive e la perdita di credibilità internazionale stanno erodendo l’immagine degli Stati Uniti. Un’immagine che era come un faro di libertà e progresso. Spetta ora al popolo americano — e ai suoi leader — decidere se ricostruire quella promessa o lasciarla svanire.