Piter, quando il meccanico “cura” le carrozzine

Facciamo conoscenza con una singolare figura legata al mondo sportivo: quella del meccanico delle carrozzine utilizzate nei powerchair sport

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Conosco Pietro “Piter” Ravasi da molti anni, conoscenza dovuta alla frequentazione comune del mondo legato allo sport delle persone con disabilità e in particolare della disciplina del wheelchair hockey, meglio conosciuto attualmente come powerchair hockey. Sostanzialmente si tratta dell’hockey praticato da atleti che utilizzano una carrozzina elettronica. In quel mondo, Piter è universalmente conosciuto come “il meccanico delle carrozzine”.

Una disciplina molto particolare

Chi scrive ha molto amato questo sport, contribuendo alla sua divulgazione e alla sua crescita in Italia e anche a livello internazionale, partendo da Milano e da un’associazione come la UILDM, nata per dare supporto alle persone affette da distrofia muscolare e dalle altre patologie neuromuscolari, proprio come a suo modo il wheelchair hockey, creato per favorire la pratica sportiva degli stessi soggetti. Bene, direte voi… e “Piter” Ravasi in tutto questo? Lui si è avvicinato a questo mondo nel 2006, affiancando la squadra di Monza, gli Sharks, e non ne è più uscito, diventando in seguito anche il meccanico della nazionale azzurra. Ma lasciamo parlare lui.

La necessità di un’assistenza tecnica tutta da inventare

“Quando ho cominciato, nel 2006, le carrozzine utilizzate dagli atleti per giocare erano quelle usate nella vita di tutti i giorni, nel nostro campionato non circolavano carrozzine elettriche prodotte apposta per la pratica sportiva”. E la manutenzione? “Era svolta quasi esclusivamente da volontari che non potevano avere competenze specifiche sulla parte meccanica ed elettronica delle carrozzine”. Anche per il materiale c’erano grosse difficoltà di approvvigionamento, vero? Mi parlavi ad esempio degli stick, gli speciali attrezzi in plexiglas che vengono applicati alle pedane delle carrozzine di chi non usa la mazza da hockey per colpire la pallina… “Sì, all’epoca non c’erano due stick uguali: una bella giungla. La prima cosa che ho fatto con gli Sharks è stata quella di creare I disegni e le sagome da far lavorare a controllo numerico per avere tutti gli stick uguali e non essere costretti a mettersi di volta in volta a tagliarli col seghetto, come si faceva all’inizio”.

La carrozzina elettronica come veicolo sportivo

E poi è arrivato il momento dei fondamentali ausili per svolgere questo sport… “Sì, con Mattia Muratore abbiamo cominciato a lavorare sulla carrozzina… Il problema principale era che i ragazzi utilizzavano queste carrozzine per giocare e comunque fossero regolate elettronicamente se le tenevano”.  E qui è entrata in gioco la tua esperienza nel mondo dei motori, giusto? “Già… venendo da esperienze nell’automobilismo sportivo, ho cercato di far capire loro come fosse importante cucirsi la carrozzina addosso e regolare la parte elettronica. Sai, avevo fatto qualche garetta in go-kart, una tesi sperimentale sui go-kart e, mentre studiavo ancora all’università, avevo vinto come meccanico un campionato italiano femminile con una pilota donna, nel Mini Cooper Trophy (1996) e come tecnico in un team di superturismo nel 1997, con un BMW semiufficiale, avevo vinto il campionato italiano marche”. Un’esperienza davvero notevole nel settore, non c’è che dire. Nonostante questo però, la meccanica e i motori delle carrozzine elettroniche non favorivano una resa ottimale… “Esatto. Le carrozzine avevano problemi e diciamo che problemi tuttora ne abbiamo, perché comunque nelle carrozzine molte cose vanno contro i principi base dell’ingegneria…”. E allora hai deciso di riversare la tua esperienza in un progetto per la realizzazione di una carrozzina elettronica nata espressamente per l’utilizzo sportivo. “Proprio così. Nel 2010 dopo il mondiale, mi sono messo a progettarne una per il capitano degli Sharks, Luigi Parravicini: in quel periodo ero senza lavoro e quindi ho impiegato quel tempo a disposizione per realizzare il progetto. La carrozzina una volta terminata non aveva dato nessun problema, né di surriscaldamento, né di durata delle batterie e non ha mai avuto problemi nemmeno in seguito, per la sicurezza delle protezioni o di ribaltamento. Era anche passata senza problemi alle verifiche dei mondiali 2014 in Germania a Monaco, dove l’abbiamo portata come muletto per la Nazionale ed io ero stato convocato al penultimo raduno prima di partire. Avevamo anche sviluppato un ammortizzatore posteriore regolabile, con la collaborazione di un costruttore italiano di ammortizzatori che all’epoca era il fornitore ufficiale di Citroen Sport nel mondiale WRC e il tecnico che ci ha seguito era quello che seguiva Sebastian Loeb nel mondiale rally……”. Ragguardevole. E il tuo prototipo è stato poi usato ai mondiali 2014? “Alla fine da muletto quella carrozzina è stata utilizzata da Jon Jignea (il capitano della nostra Nazionale, N.d.a.) perché la sua Neatech aveva dei problemi….”.

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L’elettronica, il surriscaldamento, la pressione delle gomme

Veniamo al capitolo degli interventi da te realizzati sulle carrozzine che nel frattempo avevano cominciato a essere prodotte espressamente per essere utilizzate nella pratica sportiva. “Proprio prima di partire per Monaco avevo realizzato una protezione speciale e su misura per Mattia, da montare sulle Turbo-Twist 2 (carrozzina già adattata di serie alla pratica sportiva), quella che Mattia utilizza tutt’ora sulla Turbo-Twist 3. Da lì al 2016 abbiamo tolto un po’ di centraline della Turbo-Twist 2 dalla posizione originale, sotto la seduta tra le batterie, spostandole sotto il sedile ed aggiunto delle ventole per aumentare il raffreddamento; in più abbiamo messo le ventole anche sui motori. Abbiamo fatto anche delle modifiche sulle Neatech (altra marca di carrozzina elettrica tra le più utilizzate nei powerchair sport, N.d.a.) spostando anche lì qualche centralina”. Un lavoro approfondito… “Purtroppo però, nonostante la validità del progetto della carrozzina e i commenti positivi da parte di chiunque l’avesse provata, non abbiamo trovato sponsor per poterla mettere in produzione”. Ma questo non ha frenato il tuo impegno nell’assistere e nel revisionare le carrozzine vero? “No, tutt’altro. Con l’avvento delle TT3 il problema attuale è rappresentato dalle protezioni laterali, che fanno pena e poi i motori di prima generazione, che si aprivano perché si allentavano le viti. Ora li hanno sostituiti, ma proprio la settimana scorsa alla carrozzina di uno dei nostri ragazzi si è presentato lo stesso problema. Siccome non sono più in garanzia, ho fatto una modifica e vedremo se funzionerà”.

Capitolo velocità? “Per quanto riguarda la velocità, c’è stato un miglioramento nella stabilità termica dei motori, sia a 12 che a 15 km/h: quelli vecchi avevano un incremento di velocità da freddo a caldo elevato, una percentuale di circa il 10%, questi della TT3 sono molto contenuti, circa 1-2%, c’è sempre da lavorare, facendo prove su prove e annotando i dati da confrontare poi sui vari rulli (rulli appaiati, costituiscono una parte dello strumento per il controllo della velocità, N.d.a.), alla fine non tutti i rulli sono uguali, per fortuna nelle competizioni internazionali c’è la possibilità di provarli”. Altri aspetti da sottolineare? “La regolazione della pressione delle gomme, che influisce sulla trazione delle carrozzine, non sempre è quella ottimale perché c’è il problema della pallina che deve passare sotto la carrozzina. Per quanto riguarda il calcio, o powerchair soccer, invece, si viaggia a 10 km/h, e il pallone viene colpito in rotazione, non c’è il problema del passaggio della pallina sotto e quindi sicuramente si potrà lavorare di più sulla pressione delle gomme per avere il grip maggiore durante la rotazione”.

Una passione veramente incondizionata e portata avanti negli anni, anche lavorando in maniera creativa e originale nei confronti dell’attrezzatura, per meglio intervenire sulle carrozzine: “Nel 2012 ho fatto modificare un sollevatore da moto che viene usato nelle officine e viene prodotto nella bergamasca, in modo da poter essere utilizzato per sollevare le carrozzine e lavorarci comodamente. E poi mi sono fatto il corredo della Beta utensili e la valigia da “trasferta” che è quella che mi sono poi portato agli europei e ai mondiali…”. Insomma, quando una carrozzina elettrica chiama, Piter risponde.

Fotografie gentilmente concesse da Pietro Ravasi