
Dietro le cifre di morti e sfollati, dietro le schermaglie diplomatiche e le frasi roboanti di Donald Trump che si autoproclama “eroe di guerra”, resta una realtà che si cerca di camuffare sotto il linguaggio tecnico-militare: l’operazione israeliana a Gaza non è più soltanto una risposta a un attacco, ma un disegno di annessione e di svuotamento della Striscia.
Il via libera del ministro della Difesa Israel Katz al richiamo di 60 mila riservisti, presentato come esigenza militare, assume i contorni di una mobilitazione per una nuova fase: non la “neutralizzazione” di Hamas, bensì l’occupazione stabile di Gaza City. Non è un caso che l’operazione sia stata ribattezzata “Carri di Gedeone B”, richiamando la presa progressiva di controllo della Striscia. Prima l’evacuazione forzata dei civili a sud, poi l’ingresso dell’esercito nelle zone centrali: il copione è quello già visto in passato, ma su scala definitiva.
I familiari degli ostaggi
L’alibi resta la sicurezza di Israele e la liberazione degli ostaggi. Eppure, proprio i familiari dei prigionieri israeliani denunciano che la scelta di procedere con i piani d’invasione mentre sul tavolo giace una proposta di tregua è una pugnalata. Se l’obiettivo fosse davvero il ritorno degli ostaggi, il governo avrebbe potuto percorrere la via diplomatica accettando un rilascio graduale. Ma Netanyahu, sotto la pressione dell’ala estrema del suo governo, Ben Gvir e Smotrich, portavoce dei coloni, mostra di avere un’altra priorità: garantire la conquista militare della Striscia, preludio a nuovi insediamenti.
La retorica ufficiale invoca “zone di sicurezza” e “preparativi umanitari”, ma la realtà è che oltre un milione di civili palestinesi sono chiamati a lasciare Gaza City in poche settimane. Non si tratta di un’evacuazione temporanea: è uno spostamento forzato che rischia di trasformarsi in deportazione silenziosa. L’Egitto lo definisce senza mezzi termini una “linea rossa”: se la popolazione gazawa venisse espulsa oltre confine, la causa palestinese sarebbe cancellata sul piano pratico.
Oltre 18.000 bambini morti
Intanto, la conta dei morti si allunga. Secondo fonti palestinesi, più di 18.800 bambini hanno perso la vita dall’inizio della guerra. Un numero che dovrebbe scuotere qualsiasi coscienza, e che invece viene ridotto a “danni collaterali” nel linguaggio cinico della strategia militare. La narrazione di Israele come baluardo contro il terrorismo rischia di non reggere più di fronte a un mondo che vede interi quartieri rasi al suolo, ospedali distrutti, code di affamati colpite dai bombardamenti.
Le fratture diplomatiche ne sono la prova. L’Australia e la Francia hanno annunciato il riconoscimento di uno Stato palestinese a settembre, scatenando la furia di Netanyahu che arriva ad accusare Macron di alimentare l’antisemitismo. Parole che suonano come un ricatto politico, perché confondono deliberatamente la critica alle politiche di Israele con l’odio antiebraico. Un cortocircuito pericoloso, che rischia di minare la lotta stessa contro l’antisemitismo.
Svuotare Gaza
In questo contesto, il richiamo dei riservisti e l’avvio dell’invasione di Gaza City non sono che la traduzione operativa di un progetto più ampio: svuotare Gaza dei suoi abitanti, ridurla a un lembo di terra occupato militarmente, impedire sul nascere qualsiasi prospettiva di Stato palestinese. Netanyahu non lo dichiara apertamente, ma ogni passo lo conferma.
L’Occidente si trova davanti a un bivio. Continuare a considerare questa guerra un “affare interno alla sicurezza israeliana” significa legittimare un’occupazione che porterà a nuove ondate di morte e a un esodo senza ritorno. Opporsi con decisione, riconoscendo uno Stato palestinese e ponendo vincoli concreti all’azione di Israele, significa invece riaffermare che il diritto internazionale non è carta straccia.
Il tempo delle ambiguità è finito. Dietro le macerie di Gaza, si decide se il Medio Oriente avrà ancora un futuro di convivenza o se la logica della forza cancellerà interi popoli. Netanyahu ha scelto la seconda via. La domanda è: il resto del mondo resterà a guardare?