Le leonesse di Kabul

Le vere resistenti, in un Afghanistan che si è arreso fin troppo facilmente al ritorno dei talebani, sono loro: le donne di Kabul. In piazza senza paura

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Altro che l’esercito afghano, dissoltosi per ignavia ancora prima di essere entrato in azione. E meglio anche dei “leoni del Panshir”, i partigiani mujaheddin, coraggiosi ma ridotti presto all’impotenza dalla mancanza di armi e appoggi logistici, nell’indifferenza dei Paesi confinanti. A tenere testa agli studenti coranici, nonostante la marea montante di divieti e leggi liberticide, sono proprio loro: le donne.

L’emancipazione femminile, unico frutto di vent’anni di conflitto

Le donne, forse le uniche ad aver creduto davvero a quel progresso che l’America e l’Occidente hanno cercato di trapiantare in Afghanistan con una guerra durata vent’anni. Le donne, che con il ritorno dell’incubo talebano sono quelle che hanno perso di più. Abbandonate al loro destino dopo la precipitosa ritirata di America & C., sono passate dai disperati tentativi di fughe di massa, alla necessità di convivere in una nuova realtà tornata ostile ed emarginante. E hanno reagito: scendendo nelle piazze e nelle strade, sfidando a volto scoperto gli uomini barbuti che hanno già smentito le ridicole promesse di governi “inclusivi” e di diritti rispettati per le donne.

Una protesta che costringe i talebani a uscire allo scoperto

Invece, già hanno vietato le classi miste in università, la pratica dello sport e l’accesso agli uffici, da parte di chi è di sesso femminile. È un’intera generazione di giovani di ambo i sessi che rischia di tornare indietro di vent’anni, ma soprattutto di ragazze. Quelle ragazze che, finalmente in grado di studiare e di lavorare, avevano preso coscienza di sé e delle proprie potenzialità. Cosa ne sarà del loro futuro? E di quello delle loro figlie? Davvero l’Occidente intende abbandonarle? E perché il mondo islamico non fondamentalista non insorge, contestando una interpretazione del Corano distorta e lontana dai suoi autentici precetti? Come nel caso della chiamata alla guerra santa e al terrorismo, troppo flebili le voci islamiche che dissentono. E intanto loro, le donne, ci provano a resistere e a combattere per i loro diritti, cercando di smuovere almeno dall’indifferenza i loro uomini, prima ancora che i talebani dalla loro intolleranza.

E forse ci stanno riuscendo: piccoli gruppi di dimostranti di sesso maschile cominciano a unirsi alle temerarie che manifestano a volto scoperto. E uomini erano i due giovani videomaker che stavano riprendendo una di queste manifestazioni e che per questo sono stati frustati e seviziati dai talebani, che hanno naturalmente sequestrato i loro filmati e distrutto i loro scarni mezzi di ripresa.

Una inaspettata opposizione che comincia a fare breccia

Ma quelle immagini sono ugualmente uscite dall’Afghanistan e sono arrivate fino a noi, come pure quelle dei corpi martoriati dei due giornalisti. E quindi torniamo a chiederci: cosa può fare l’Occidente ora per la causa afghana? Le sanzioni, forse? Come dice Tooba Lofti, organizzatrice (via social e whatsapp, finchè possibile) delle manifestazioni delle donne di Kabul, nella intensa intervista rilasciata a ‘il Foglio’, “Le sanzioni dovrebbero essere soltanto contro l’Emirato islamico, non contro la gente, se ci fossero sanzioni contro l’Afghanistan la gente soffrirebbe invece è l’Emirato islamico a dover soffrire, per questo motivo le sanzioni dovrebbero essere contro l’Emirato, che non dovrebbe essere riconosciuto…… questi talebani sono gli stessi talebani di vent’anni fa, soltanto il loro look è cambiato”. Un’intervista rilasciata facendosi fotografare a viso scoperto e, ancora una volta, senza paura.