L’attacco dell’Iran a Israele: alcune considerazioni

Non è stato un attacco coreografico. Su Israele sono stati lanciati in combinazione circa 170 droni armati, 120 missili balistici e 30 missili cruise. L’attacco è stato portato da almeno tre direttrici diverse. E’ stato usato lo stesso metodo messo a punto dai russi in Ucraina, l’attacco con i droni satura le difese avversarie e le “distrae” dall’arrivo dei grossi calibri -rappresentati dai missili balistici – mentre le incursioni da più direzioni servono a disorientare i difensori. L’attacco dell’Iran ha seguito questo schema e lo ha fatto in grande, utilizzando una quantità di ordigni offensivi che non trova paragone. Gli iraniani sparano i loro missili da una distanza di circa 2.000 chilometri da Israele e sanno che lo Stato ebraico ha il migliore sistema antiaereo del mondo; non si attendevano certo che tutti i loro ordigni raggiungessero il bersaglio, ma la realtà dei fatti si è dimostrata di gran lunga peggiore del previsto.

Soltanto 9 missili su circa 320 ordigni lanciati sono esplosi in territorio israeliano. Il fatto che un attacco fallisca clamorosamente non significa automaticamente che l’attacco sia stato orchestrato solo per salvare la faccia e fare poco danno; al contrario molti commentatori si sono invece affrettati a sposare la causa dell’attacco coreografico, in questo supportati dalle dichiarazioni che l’Iran ha iniziato a distribuire un attimo dopo che il loro fallito attacco si era concluso. “Avevamo avvertito in anticipo”, “Abbiamo scelto obiettivi limitati”, eccetera. Come l’uomo caduto da cavallo che dichiara: “Tanto dovevo scendere” il tentativo iraniano di propagandare la versione dell’attacco di facciata prosegue in queste ore; è normalmente difficile trovare informazioni su quanto avviene nella leadership iraniana, oggi invece numerosissimi “funzionari iraniani che desiderano rimanere anonimi” sembrano essere ansiosi di riempire la sfera informativa di dichiarazioni che vanno tutte in questo senso.

Tra Iran ed Israele ora è guerra aperta;  Per la prima volta da quando il regime clericale è andato al potere (1979) l’Iran ha colpito direttamente il territorio israeliano. Dopo questo attacco nulla sarà più come prima. Indipendentemente dall’eventuale risposta israeliana al bombardamento appena avvenuto, il confronto militare tra i due Stati non sarà più una questione di “se” ma di “quando”.  Quando lo scontro militare tra Iran ed Israele entrerà nel vivo inevitabilmente obbligherà molti attori internazionali ad uscire dalla loro ambiguità strategica. Questo riguarderà certamente le Grandi Potenze, ma anche tutti gli Stati arabi sunniti.

La Giordania rischia molto; La Giordania ha abbattuto sul proprio spazio aereo diversi ordigni che dall’Iran viaggiavano verso Israele. La monarchia giordana ha subito chiarito di averlo fatto, appunto, perché non permette a nessuna potenza straniera di invadere il proprio cielo; ovviamente la propaganda iraniana e dell’estremismo palestinese sta invece suonando la grancassa sul fatto che: “La Giordania aiuta Israele a difendersi”. Non ci possono essere dubbi sulla presa che questo argomento ha tra le masse arabe. Da sempre una legge non scritta dice che i musulmani possono litigare ed anche spargere il sangue tra di loro, ma mai farsi trovare divisi quando si tratta di colpire Israele. Vedremo se nel tempo a venire Paesi come l’Arabia Saudita, Gli Emirati Arabi, la Giordania, ma anche settori della resistenza palestinese, avranno il coraggio di rompere questo tabù.

Joe Biden dice a tutti: “Non fatelo”;  Quando l’Iran ha preannunciato la ritorsione su Israele Biden ha intimato alla leadership di Teheran: “Non fatelo”. Lo hanno fatto. Ora Biden – mentre il Gabinetto di Guerra israeliano pondera se rispondere all’Iran con un attacco simmetrico – sta dicendo agli israeliani: “Non fatelo”. Dall’Ucraina ad Israele la politica estera americana sembra ispirarsi ad un unico obiettivo: gestire i conflitti, fare in modo che non debordino, se possibile scalarne l’intensità. Paradigmatica in questo senso è la frase che Biden pare aver detto al Primo Ministro israeliano Netanyahu: “Il loro attacco è fallito, non reagire ulteriormente, hai già vinto”. Indipendentemente da qualsiasi considerazione politica: se un avversario ti tira addosso 320 pugni e ti colpisce solo nove volte, per buon senso non hai vinto. Il tentativo dell’Amministrazione Biden di “gestire i conflitti”, che – in brutale sintesi – si sostanzia nell’aiutare i propri alleati a difendersi ma non a vincere, è oggetto di scrutinio: c’è la sensazione diffusa che questo metodo porti gli avversari ad essere sempre più audaci e forti militarmente. Il dibattito è aperto.

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