Inter e Milan via da San Siro. Il fallimento della legge sugli stadi

Le recenti dichiarazioni – rilasciate in un’intervista al Messaggero – del ministro dello Sport Abodi sulle conclamate difficoltà a realizzare nuovi stadi di proprietà, inducono ad una riflessione circa le cause che rendono ciò quasi una “mission impossible”. In effetti, ad oggi, soltanto pochissime società calcistiche detengono la proprietà dello stadio dove giocano, ovvero Juventus, Sassuolo, Udinese, Atalanta e Frosinone. Lo stesso Abodi ha infatti affermato di vedere “troppi progetti nei quali si è tutti d’accordo ma che non si trasformano poi in cantieri”, aggiungendo che bisognerebbe “intervenire con una normativa specifica che consenta al privato di fare il suo mestiere e mettere a disposizione risorse finanziarie, competenze tecniche e soluzioni gestionali che consentano di realizzare le opere in tempi certi e di gestirle al meglio nel tempo”.

Tuttavia, tali dichiarazioni destano non poca sorpresa visti i reiterati interventi legislativi che hanno nel tempo modificato l’originaria normativa sul tema, definita “legge stadi”, il cui scopo è stato proprio quello di incentivare la costruzione di stadi di proprietà (che possibilmente prendano il posto di quelli esistenti, molti dei quali ormai vetusti).Inclusa, mediante alcuni commi, nella legge 27 dicembre 2013, n.147 (legge di stabilità per l‘anno 2014), tale iniziale normativa è stata infatti oggetto di alcuni “ritocchi”, rinvenibili segnatamente nel D.L. 24 aprile 2017, n.50, nonché, da ultimo, nel Dlgs n.38 del 2021. In estrema sintesi, va qui sottolineato che lo spirito degli interventi legislativi che si sono via via susseguiti è stato quello di cercare di semplificare ed accelerare le procedure funzionali alla realizzazione dei nuovi stadi, tentando di snellire il più possibile i rapporti tra i privati e gli enti pubblici coinvolti, incentivando, in tal senso, il ricorso alla c.d. “finanza di progetto”.

Obiettivo mancato 

Attese le sopra riportate dichiarazioni del ministro Abodi, appare evidente come l’obiettivo che si è prefissato il legislatore non sia stato, però, ad oggi ancora raggiunto. Ciò risulta ancor più frustrante considerato che, come prima accennato, l’ultimo intervento legislativo sul tema (ovvero il Dlgs. n.38 del 2021) è entrato in vigore con l’inizio dell’anno corrente. Viene, pertanto, da chiedersi dove occorra effettivamente intervenire a livello legislativo al fine di far si che i progetti dei privati possano finalmente trasformarsi in realtà. E’ difatti ormai assodato che lo stadio di proprietà costituirebbe un volano importante per l’aumento del fatturato delle squadre, le quali potrebbero così mettersi al passo con i più importanti club europei; il tutto senza sottacere gli importanti risvolti positivi che si andrebbero a generare su tutto l’indotto.

Per rispondere al quesito che ci siamo posti possiamo prendere ad esempio il “caso San Siro”, il quale evidenzia “plasticamente” alcuni limiti dell’attuale legislazione sugli stadi. E’ notizia di questi giorni che l’imminente vincolo che sarà apposto dalla Soprintendenza ai Beni Culturali sul secondo anello dello stadio milanese a partire dal 2025 ha sostanzialmente decretato la più che probabile rinuncia di Milan ed Inter al progetto di costruzione del nuovo stadio che le due società avrebbero dovuto realizzare insieme proprio accanto al Meazza.

Ciò in quanto, con tale vincolo, lo stadio milanese non potrà essere più abbattuto ma solo ristrutturato (peraltro nel rispetto di determinate prescrizioni). E’ noto, in tal senso, che i massimi dirigenti dei due club hanno sempre sostenuto – per ragioni ricollegabili alla dinamica del rapporto “costi/benefici” – di non essere interessati a ristrutturare il Meazza, essendo la loro volontà volta ad ottenerne la demolizione (anche eventualmente parziale) onde al suo posto realizzare un “distretto multifunzionale”, il quale, pertanto, sorgerebbe nei pressi del nuovo realizzando stadio.

Per “distretto funzionale” si intende un’area dedicata all’intrattenimento, allo shopping e al divertimento in grado di accogliere i tifosi e di far vivere loro un’esperienza maggiormente inclusiva con la squadra del proprio cuore ma che al contempo è in grado di garantire ai club introiti ben maggiori rispetto ai soli proventi del botteghino. Se così è, sembra davvero improbabile che le due squadre milanesi possano accontentarsi di ristrutturare San Siro. Prova di ciò ne è il fatto che le due squadre meneghine hanno recentemente individuato, ciascuno per proprio conto, un’area destinata ad un proprio nuovo stadio (il Milan a San Donato mentre l’Inter a Rozzano), rendendo così manifesta la loro intenzione di abbandonare definitivamente il progetto (denominato “Cattedrale”) che era stato già presentato all’amministrazione comunale e che è rimasto, per così dire, “insabbiato”.

Che l’allontanamento da San Siro non vada visto come una mera strategia delle due società per cercare di forzare la mano al Sindaco Sala è invero confermato dal fatto che i club hanno già investito delle risorse in vista della realizzazione dei propri stadi (il Milan ha già acquistato il 90% della “SportLifeCity s.r.l.” – società proprietaria dell’area ove dovrebbe sorgere il suo stadio – mentre l’Inter ha raggiunto un accordo con il gruppo “Bastogi” per un diritto di esclusiva sullo studio di fattibilità per il nuovo stadio che dovrebbe essere realizzato su un’area di proprietà di tale società).

L’immobilismo del Comune 

In tanti hanno accusato l’amministrazione comunale milanese di un pressochè totale immobilismo rispetto ad un’occasione – quella del nuovo stadio – che andava colta per evitare che il Meazza, con il commiato di Inter e Milan, diventi, nel tempo, una sorta di cattedrale nel deserto, con pesanti oneri economici che inevitabilmente andranno a ricadere, in un futuro non così lontano, sul Comune di Milano per l’esosa manutenzione che l’impianto richiede (tra i 5 e 10 milioni di euro all’anno, come recentemente dichiarato dallo stesso Sindaco Sala).

Tuttavia, a prescindere dalle responsabilità politiche ravvisabili nel caso di specie in capo alla Giunta Comunale, non si può negare come il fatto tranciante rispetto al percorso amministrativo che poteva comunque condurre all’approvazione del progetto del nuovo stadio sia certamente costituito, come sopra accennato, dall’apposizione del vincolo al secondo anello da parte della Soprintendenza ai Beni Culturali (per il riconosciuto “valore di interesse storico/culturale/architettonico” di alcune parti di esso). Tale considerazione ci riporta al punto da cui abbiamo preso le mosse ed al quesito che ci siamo posti, ovvero le criticità che la normativa sugli stadi tuttora presenta.

Ed infatti la vicenda “San Siro” ci fa comprendere come il legislatore non sia riuscito a coniugare la menzionata normativa sugli stadi con quella prevista dal Codice dei Beni Culturali (D. Lgs.vo 22.01.2004, n.42) “dimenticando” che tanti stadi italiani (si pensi, oltre che al citato Meazza, anche al caso del “Franchi” di Firenze) sono stati realizzati da oltre 70 anni e che potrebbero, pertanto, essere oggetto di vincoli (più o meno “invasivi”) da parte delle Soprintendenze territorialmente competenti (le quali, è bene ricordare, possono in tal senso anche prendere l’iniziativa d’ufficio).

Il “corto circuito” provocato dalla mancata previsione di un correttivo alla normativa sui beni di interesse storico/culturale rischia quindi seriamente di vanificare il lodevole intento della legislazione sugli stadi volta a semplificare i rapporti tra privati ed enti pubblici nella realizzazione dei nuovi impianti sportivi, giacché, come già evidenziato nel caso “San Siro”, nella maggior parte dei casi le società di calcio hanno più interesse a costruire un nuovo stadio (con l’annesso distretto multifunzionale) che a ristrutturarne uno vecchio.

Sarebbe pertanto auspicabile, ad avviso di chi scrive, un intervento legislativo che riponga in capo all’ente pubblico titolare dello stadio l’ultima parola sulla possibilità di demolire l’impianto, anche nel caso in cui sullo stesso risulti già apposto dalla Soprintendenza un determinato vincolo di interesse storico/architettonico/culturale.

Tale potere dovrebbe ovviamente essere esercitato dall’ente non “a cuor leggero” ma a seguito di un’attenta analisi del rapporto costi/benefici, il quale tenga conto non soltanto dei termini economici dell’operazione ma anche (e soprattutto) dell’utilità complessiva che la nuova opera genererebbe per il territorio in cui sorgerà.

Nel caso in cui l’amministrazione pubblica considerasse comunque “conveniente” (nel senso appena indicato) la demolizione dello stadio (al di là, quindi, del vincolo apposto dalla Soprintendenza), ciò recherebbe con sé il positivo effetto di una corposa razionalizzazione della spesa pubblica (niente più costi di manutenzione per gli enti pubblici), evitando, altresì, l’inutile investimento di ingenti risorse economico/finanziarie e di tempo da parte dei privati, i quali, con la normativa attualmente in vigore, possono in un qualsiasi momento veder tramontare un progetto (sul quale hanno possibilmente già profuso sforzi economici non di poco conto) sol perché la Soprintendenza di turno decide, da un giorno all’altro (anche “motu proprio”), di apporre un vincolo sullo stadio da demolire (il quale, magari, presenta pure rilevanti problemi manutentivi dovuti alla vetustà).

Sotto questo punto di vista bisognerebbe emulare gli Inglesi, i quali hanno proceduto alla demolizione del vecchio stadio londinese di “Wembley” (inaugurato nel lontano 1923) per fare spazio ad un nuovo impianto, benchè nel 1976 fosse stato apposto sullo stadio in questione un vincolo storico/architettonico.

Con questo non si vuole sminuire o sottacere l’importanza ed il fascino che taluni stadi (come il Meazza) tuttora rivestono. In tal senso, non si può e non si deve dimenticare che questi impianti hanno ospitato tanti grandi eventi sportivi (e non solo).Per tale ragione, essendo indissolubilmente legati alla memoria ed all’affetto di tanti appassionati, la loro demolizione non può non provocare una condivisibile tristezza.

Cosa fare?

Tuttavia, la situazione attuale impone delle scelte decisionali non più rinviabili anche in vista della probabile assegnazione al nostro paese degli Europei di calcio nell’anno 2032 (in condivisione con la Turchia), che costituisce una chance da non perdere assolutamente per cercare di riprenderci il posto che un tempo avevamo nel panorama calcistico mondiale. Se davvero vogliamo cogliere questa opportunità, occorre quindi incentivare la creazione di nuovi stadi che prendano il posto di quelli esistenti in stato di vetustà attraverso un intervento normativo nella direzione sopra indicata.

Occorre, in definitiva, una normativa che sia in grado di garantire alle società calcistiche di poter contare su un percorso amministrativo lineare in cui è tutto chiaro fin dall’inizio e non invece accidentato, in cui le insidie si nascondono dietro l’angolo (magari prendendo ad esempio la legislazione inglese di settore che ha garantito la realizzazione di un elevato numero di stadi privati).

Ciò innescherebbe davvero un circolo virtuoso tra le amministrazioni pubbliche ed i privati in grado di portare benefici non solo alle società calcistiche ma anche alla P.A. e soprattutto a tutta la collettività (si pensi, tra i benefici, alle positive ricadute occupazionali che ne deriverebbero).

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