Il ritratto del duca

Pensatore sessantenne con il vizio del proselitismo diventa criminale per creatività. Kempton Bunton vive nell’Inghilterra degli anni sessanta la sua personale battaglia per i diritti civili. L’uomo, disoccupato cronico, combatte contro l’imposizione del canone televisivo mentre si scontra con la sua signora e cerca lavoro. La quietamente disperata esistenza è stravolta dal furto di un quadro del Goya che l’anziano decide di non denunciare. Una volta complice l’uomo si rivolgerà al governo di sua maestà per chiedere più assistenza ai deboli e l’esenzione all’odiata e inutile tassa.

Il ritratto del duca è una commedia di buona fattura che unisce la rivolta sociale all’umorismo anglosassone. Roger Michel dirige con sapienza la storia di un perdente che si trova, suo malgrado, nei panni di un nuovo Robin Hood raccontando poco Swing e molta gente comune. Jim Broadbent è straordinariamente efficace nel ruolo di un protagonista stanco che vorrebbe dare un significato alla sua vita, ma è intrappolato in una società che l’ha dimenticato. Il rapporto con la moglie conflittuale e il seguito delle sue idee inesistente lo rendono stanco, il furto del ritratto del Duca di Wellington darà all’uomo l’ultima opportunità di dire la sua.

Helen Mirren nel ruolo della signora Bunton rende il film spassosissimo grazie ai duetti tra consorti, recitati perfettamente, che portano in dote una realtà controllata da amorevoli freddure. Un soggetto che potrebbe ricordare il cinema di Frank Capra ma a differenza del maestro Mitchel non mostra alcuna vittoria del “bene” ma propone una riflessione sulla solitudine e su quanto sia essenziale avere qualcosa in cui credere. La rivoluzione di Kempton rimane un’idea snobbata dai media, sarà il crimine a far notare questo giullare il cui unico obiettivo è avere un obiettivo.

 

Un film malinconico che il regista di Nothing Hill rende onesto e in grado di stimolare quell’empatia necessaria per sentirsi chiamati in causa. L’attenzione che il protagonista va cercando è propria del genere umano e gli individui non realizzati la maggioranza di chi vive nella realtà. Quest’onestà intellettuale aiuta The Duke a far dimenticare i pochi accorgimenti usati nel raccontare la solitudine sacrificati per un taglio molto più leggero. Più che di un’occasione mancata si parla di un film diverso, accennare il profondo significa ammetterne l’esistenza.