Il colosso d’argilla

Cronista sportivo deluso si fa convincere da un criminale a trasformare una schiappa in un gran pugile. La stazza del ragazzo e una buona operazione pubblicitaria portano alla sfida per il titolo ma la fine sarà tragica. Il giornalista pentito delle sue nefandezze interverrà a salvare la situazione.

Il colosso d’argilla è un dramma sportivo che prova a far luce sul mondo della boxe. Ultima prova di Humphrey Bogart regge su l’ottima sceneggiatura e sulla capacità di parlare di sentimenti senza cadere nel sentimentalismo. Sullo schermo va la storia di un emigrato scelto a regola d’arte da criminali per diventare il fuoriclasse da spremere senza alcuna pietà. Bogart, nel ruolo del giornalista, adatta perfettamente il suo stile recitando un cinico uomo di mezza età che ha capito quanto lo sport sia questione di denaro e scriverne sia un lavoro che non paga le bollette. Come tutti i cinici non cattivi, una volta conosciuto l’animo gentile del ragazzo è inevitabile che il lato umano del giornalista venga fuori provando a impedire la distruzione assoluta.

Il colosso d’argilla è un buon esempio di cinema classico che fa della sua forza, oltre alla recitazione del protagonista, un ottimo Rod Steiger nella parte del gangster e dialoghi sapientemente propri della cronaca sportiva. Si dice fosse ispirato alla vita di Primo Carnera, ma è la parabola di uno sport che è andato trasformandosi in zona soggetta a semplice guadagno dalla malavita e non solo. Sullo schermo vanno tutte le tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica, qui legate alla boxe, che riescono a inibire la capacità di valutazione di pubblico e critica.

Spesso collusi i giornalisti non appaiono certo personaggi privi di colpa , qui lo stesso protagonista ci metterà un po’ per capire quanto ci sia un limite alla propria avidità. Un film interessante che si ricorda soprattutto perché saluto alle scene di un’icona del cinema ma meritevole di una riscoperta ad anni di distanza.