Festival di Sanremo, specchio di un’Italia musicalmente retrograda

Sipario chiuso, applausi finiti. E' ora di raccontare il "lato oscuro" del Festival della canzone italiana

Sanremo Italia

Si chiude quindi uno dei Sanremo più brutti e appiattiti verso il basso di sempre. A dire il vero anche uno di quelli di maggiore successo, a testimonianza della mediocrità non solo dei protagonisti, ma soprattutto degli spettatori, che, sempre più privi di qualsiasi pensiero critico, hanno accolto con totale entusiasmo 29 canzoni di cui rimarrà poco o nulla e persino il drammatico tormentone “Tutta l’Italia” che invece ci porteremo dietro chissà quanto.

Italia, paese musicalmente retrogrado

L’Italia si dimostra ancora una volta un paese musicalmente retrogrado e autoreferenziale. Un paese che dedica tempo e attenzione a canzoni per lo più inutili e ripetitive, quando non addirittura inascoltabili, come le “perle” riservateci da artisti del calibro di Tony Effe o Gaia o Rocco Hunt o la regina mondiale del talento buttato. Quella Serena Brancale che in pochi anni è passata dall’endorsement di Quincy Jones a essere la copia femminile di Leone di Lernia.
Per non parlare poi dei killer del pentagramma Coma Cose, che riescono inspiegabilmente a fare chiedere ai critici (altri buoni…) il messaggio contenuto in “Cuoricini”, non capendo che in quella canzone c’è tanto messaggio quanto talento, cioè zero.

Carlo Conti e una conduzione democristiana

Abbassando il livello, inevitabilmente, si raggiunge un maggior numero di persone, e quindi ecco i formidabili record di ascolti: speriamo per Carlo Conti che si renda conto che il suo straordinario risultato di pubblico non significa necessariamente un gradimento per il prodotto, affinché non segua Amadeus in quel percorso verso un delirio di onnipotenza che non ha portato nulla di buono alla sua carriera.
Se la conduzione democristiana ma super professionale di Conti merita almeno la sufficienza, la sua performance come direttore artistico è da censurare.
Molte canzoni identiche tra loro, poco interessanti, composte con una sufficienza vicina alla superficialità.

La sconfitta degli autori e la condanna dei cantanti

È la sconfitta degli autori e dei loro banali tormentoni, sconfitti sia dalla classifica finale, che li ha sostanzialmente bocciati tagliandoli fuori dalle prime posizioni e condannati in modo inequivocabile dalla serata delle cover. I cantanti hanno dimostrato infatti che, confrontandosi con brani di altro spessore e qualità compositiva, il loro talento si può esprimere in modo molto più completo.
Il confronto tra la Brancale di Anema e Core e la Brancale di If I Ain’t Got You è impietoso. La Annalisa di Skyfall sembra un’altra rispetto a quella che ci ha ammorbato per anni con i tormentoni più ignobili a uso e consumo dei maranza di tutte le latitudini.
Nella stessa interpretazione del brano di Adele si è potuto intuire cosa avrebbe potuto essere la carriera di un super talento come Giorgia se avesse avuto la possibilità di interpretare canzoni meno anonime, o semplicemente se avesse saputo fare scelte diverse.

E gli esempi di quelli che hanno dato il loro meglio nella serata di venerdì potrebbero continuare, con poche eccezioni, come i soliti Coma Cose, il cui problema non sta nella scelta dei pezzi ma nella scelta del mestiere con cui guadagnarsi da vivere.

Un barlume di speranza: Lucio Corsi

Qualche nota lieta e qualche barlume di speranza: Lucio Corsi , che trent’anni fa sarebbe stato uno qualsiasi, si è elevato su tanta mediocrità. Cristicchi ha emozionato tutti, tranne i beoti dei social che si commuovono per le lenti a contatto nere di Fedez e non hanno un brivido per un testo e un arrangiamento straordinari. Brunori sas ha portato un po’ di cantautorialità sul palco di Sanremo e ha portato a casa un podio meritato.
Ranieri e Giorgia hanno ricordato a tutti che cosa significhi essere dei cantanti, avere studiato, avere una carriera alle spalle fatta di esperienza, di lavoro, e non di visualizzazioni da social e tatuaggi da maranza. Le loro canzoni non erano irresistibili, ma loro avrebbero meritato entrambi una classifica migliore .

Olly, il vincitore. Più bello che bravo

Il vincitore: canzone sanremese se ce n’è una, non irresistibile, ma con un ritornello molto memorabile. Lui non malissimo, più bello che bravo.
Il futuro dirà se la sua vittoria sarà effimera come quella di molti vincitori di talent di questi anni o se saprà sviluppare un talento che gli possa garantire una carriera luminosa.

Due notizie: una bella e una brutta

Chiudo con due notizie, una bella e una brutta.
Quella bella è che Shablo con il suo R&B contaminato con il gospel ha dato un tocco di internazionalità al festival più italiota di sempre, che Joan Thiele ha illuminato la scena con una personalità e una classe degna dei grandissimi e che ha interpretato meravigliosamente Gino Paoli nella serata delle cover, facendoci sperare sia nata una stella vera e che Willie Peyote si è consacrato interprete intelligente e moderno.
Quella brutta è che questi tre, i migliori protagonisti di questa settimana di bulimia nazionalpopolare, non se li è cagati nessuno.