Export delle armi italiane. L’opinione di Leonardo Tricarico

Ad Abu Dhabi, in occasione dell’ultimo salone dell’aerospazio, ad una proposta italiana per un’impresa comune, un esponente di vertice governativo emiratino, pur allettato dall’idea, rispose chiudendo ogni porta all’iniziativa con un: “e se poi viene un altro ministro come Di Maio?”. Il riferimento, di sintesi e fin troppo esplicito, era all’improvviso stop alla fornitura ed all’assistenza militare al mondo arabo da parte del nostro ministro degli Esteri di allora, quando l’Italia arrivò persino a sospendere un contratto già operante per la manutenzione dei velivoli Aermacchi MB339 della Pattuglia Acrobatica emiratina, da noi creata, addestrata ed equipaggiata. Tutto questo fu possibile perché l’autorizzazione finale al suggello dei rapporti commerciali tra due paesi era (ed è tuttora) nelle mani e nella firma di un Ufficio della Farnesina, l’UAMA (Unità per le Autorizzazioni dei Materiali di Armamento), retto da un diplomatico di medio rango sulle cui spalle la legge 185/90 fa gravare ogni responsabilità formale in materia di esportazione di armi.Inizialmente non era così, le determinazioni venivano assunte da un comitato di Ministri, il CISD, (Comitato Interministeriale per lo Scambio di armamenti per la Difesa) che poi, in virtù di una decisione tanto improvvida quanto scellerata venne depennato dalla legge esponendo il povero Capo dell’UAMA a sollecitazioni di ogni tipo, -come quella di Di Maio, il suo Ministro- rimanendo però lui unico responsabile, sopratutto di fronte alla legge.

Per fortuna questo governo, mettendo mano a quello che è diventato un vero tabù, ha messo in cantiere alcuni interventi di riforma della legge 185/90, uno dei quali riguarda appunto la reintroduzione del CISD, il comitato interministeriale cui in futuro sarà riassegnata la potestà decisionale in materia di esportazione di armamento. Eppure, avverso questo intervento, un vero e proprio atto dovuto che dovrebbe metter fine ad ogni cruccio, si è aperto un robusto fuoco di sbarramento da parte del movimentismo pacifista che anziché intravedere e riconoscere nelle decisioni a venire una maggior ponderatezza ed una più stretta coerenza con gli interessi nazionali, identifica come una sciagura il fatto che a decidere se esportare o meno materiale di armamento sia un alto consesso di ministri guidati dal vertice di governo.
Una posizione francamente priva di ogni possibile ed ipotizzabile logica.

Evidentemente il movimento pacifista si è allargato troppo, traendo vantaggio dal sonno della politica che continua a non voler mettere mano ai temi dell’esportazione delle armi, divenuto giorno dopo giorno un vero campo minato in cui nessuno ormai osa avventurarsi. Salvo esporsi al cecchinaggio dei più svariati gruppi taleban pacifisti cui la Chiesa sta ora dando una mano attiva dopo essere stata da sempre la loro incubatrice. Tornando ai nostri amici emiratini, quell’ulteriore sonoro schiaffo assestato a freddo dal nostro paese non sarebbe certo potuto accadere se invece di un ministro inadeguato, la decisione fosse scaturita dal consesso di più ministri guidati da un equilibrato e coerente senso dello stato .

Semmai gli interventi di modifica della legge sono troppo timidi, insufficienti ad adeguare uno strumento di legge al mondo di oggi, che negli ultimi trentaquattro anni, tanti ne sono passati dall’entrata in vigore della 185, e’ stato letteralmente rivoluzionato da una geometria impazzita nei rapporti internazionali, da una geopolitica tumultuosa ed in continua evoluzione. Quello che serve al paese è in definitiva un piu’ spiccato coraggio per adeguarsi alle nuove realtà, tenendo ben presente che la nostra industria non per nulla è industria di Stato, che proteggerla ed assisterla non solo è impegno di coerenza ed interesse nazionale ma che il tutto ha dei seri e prioritari riflessi sulla sicurezza e sulla difesa del nostro Paese e dei nostri alleati.

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