
Mentre il Mediterraneo si tinge di sangue e la Striscia di Gaza affonda in un abisso umanitario senza precedenti, la politica europea si misura su un banco di prova morale che separa i leader dagli amministratori, gli statisti dai politicanti. In questo scenario drammatico, la figura del premier spagnolo Pedro Sánchez emerge con la dignità e la forza morale di chi ha scelto la storia piuttosto che il calcolo, la giustizia piuttosto che l’opportunismo.
Nel Parlamento spagnolo, Sánchez ha pronunciato parole che in molti temono dire: ha definito Israele “uno stato genocida”. Parole dure, certo, ma proporzionate alla realtà di oltre 50.000 morti nella Striscia secondo i dati, non smentiti ma ignorati, del ministero della Sanità di Gaza. Affermazioni che hanno provocato la reazione furente del governo israeliano, che ha convocato l’ambasciatore spagnolo per un rimprovero. Eppure, in quel gesto, in quelle parole, c’è l’essenza della leadership: chiamare le cose con il loro nome anche quando costa, anche quando si è sotto assedio diplomatico. Sánchez non si è piegato. Ha mostrato, una volta di più, di non essere un contabile del consenso, ma un uomo di Stato.
A Roma, invece, il panorama è desolante. Giorgia Meloni, davanti a uno scenario catastrofico, ha scelto la linea del mezzo tono, del grigio, del “non posso più tacere ma non voglio disturbare”. Ha definito la situazione “drammatica e ingiustificabile”, parole che, seppur corrette, si perdono nella piattezza del linguaggio diplomatico che rinuncia a scuotere le coscienze. Nessun atto concreto, nessuna rottura simbolica, nessuna presa di distanza netta. Solo appelli vaghi al cessate il fuoco e richiami alla fine del blocco, come se il diritto internazionale fosse un’opinione da esprimere tra un vertice e l’altro, e non un imperativo morale.
La differenza tra i due capi di governo non sta solo nelle parole, ma nei fatti. La Spagna ha interrotto gli accordi militari con Israele, ha riconosciuto lo Stato palestinese e ha scelto di non essere complice, nemmeno economicamente, di un’occupazione disumana. L’Italia, pur governata da una destra che si dichiara cristiana e patriottica, continua a offrire sostegno implicito a una politica che affama, bombarda, isola. E si aggrappa alla diplomazia del silenzio per non scontentare alleati strategici.
In un tempo in cui la neutralità è complicità, Pedro Sánchez ha dimostrato che l’Europa può ancora parlare con voce propria, che la dignità politica non è un ricordo del passato. Giorgia Meloni, invece, preferisce galleggiare nel limbo delle dichiarazioni prudenti, delle frasi che non lasciano traccia. L’una guida un Paese, l’altro lo amministra. L’una prende posizione nella storia, l’altra si limita a registrare gli eventi.
Ecco, ciò che oggi manca all’Italia non è la forza, né l’autorità: è il coraggio. Il coraggio di riconoscere l’orrore quando si manifesta, di denunciare l’ingiustizia anche quando proviene da un alleato, di restare umani in mezzo alla tempesta. Pedro Sánchez l’ha fatto. Giorgia Meloni, ancora una volta, no.