Crimine contro l’umanità. Ma se lo dici sei antisemita

Israele prepara l’occupazione totale di Gaza. E chi alza la voce contro la barbarie viene etichettato come antisemita. Ma la verità non ha paura dei marchi

Netanyahu

In un mondo in cui le parole sono diventate armi e la verità un campo minato, dire ciò che si vede chiaramente, che a Gaza è in corso un crimine contro l’umanità, ti espone all’accusa più pesante: antisemitismo. Ma non ci si può più permettere il lusso del silenzio. Perché non si tratta di religione, né di etnia: si tratta di una brutale macchina di morte che si accanisce su una popolazione civile. E questa macchina porta il nome di Benjamin Netanyahu.

Il piano israeliano denominato “Carri di Gedeone” è un’evidente dichiarazione d’intenti: l’occupazione permanente della Striscia di Gaza e lo sfollamento forzato dei suoi abitanti. L’obiettivo, non più mascherato, è cancellare Gaza. Smotrich, il ministro dell’ultradestra religiosa, lo ha detto chiaramente: la liberazione degli ostaggi non è prioritaria. Conta la conquista, conta l’annientamento. Siamo davanti a una dottrina dell’espulsione, che ricorda scenari che l’umanità avrebbe giurato di non voler più rivivere.

Oltre 52.000 morti, in gran parte donne e bambini. Ospedali rasi al suolo. L’accesso agli aiuti umanitari bloccato per oltre due mesi, mentre il ministro delle Finanze prometteva, e manteneva, che “a Gaza non entrerà più un chicco di grano”. E ora, con cinismo assoluto, si annunciano aiuti tramite aziende private, mentre si prepara una nuova offensiva militare. Questa non è sicurezza. Questo è accanimento.

L’Unione Europea si dice “preoccupata”. Il Segretario generale dell’ONU avverte di un “massacro di proporzioni enormi”. La Casa Bianca tace. E mentre il mondo diplomatico si esercita in dichiarazioni timide, Netanyahu marcia. Marcia sulle rovine di una società, sui cadaveri di bambini, sulle urla disperate delle famiglie degli ostaggi israeliani, che oggi lo accusano apertamente: ha sacrificato i loro cari per salvare la propria carriera politica.

L’opposizione interna cresce. L’idea stessa di una guerra infinita, combattuta su più fronti, Siria, Libano, Yemen, è sempre meno digeribile. L’esercito è stremato. La società civile protesta. Ma Netanyahu si blinda, rinvia ogni inchiesta sulle responsabilità del 7 ottobre e si aggrappa al potere.

Chiamarlo per ciò che è, un criminale di guerra, non è antisemitismo. È giustizia. È dovere morale. Nessuno Stato può rivendicare il diritto all’autodifesa praticando la fame, il bombardamento indiscriminato, l’occupazione forzata. Nessuna democrazia può sopravvivere riducendo alla fame un popolo, negando cure, bombardando corridoi umanitari.

E l’Italia? L’Italia guarda. Osserva. Alza la voce per molto meno, ma si piega quando serve il coraggio. Invece di chiedere a gran voce il cessate il fuoco, di usare ogni canale diplomatico per fermare la carneficina, resta muta. Come se la sofferenza dei palestinesi fosse invisibile. Come se la loro morte non contasse.

Non è antisemita chi denuncia la barbarie. È complice chi la giustifica o chi la ignora. Se difendere la dignità umana, anche a Gaza, vuol dire essere definiti “nemici di Israele”, allora è tempo di decidere da che parte stare. La storia non farà sconti a nessuno. Chi tace oggi, sarà giudicato domani.