A Riad la farsa diplomatica: tregua a parole, guerra nei fatti?

A Riad, diplomazia sotto i riflettori, ma sul campo è il fuoco a parlare. L’Ucraina chiede sicurezza, la Russia impone condizioni. L’Europa tace

Domani, Riad ospiterà il nuovo round di negoziati tra Russia, Ucraina e Stati Uniti. Ma la realtà sul campo racconta un’altra storia. Mentre le bombe cadono su Kiev e le promesse di cessate il fuoco si sgretolano in tempo reale, l’Europa resta in bilico, spettatrice impotente di una guerra che non ha scelto, ma che potrebbe travolgerla.

Una domanda si insinua tra le pieghe della diplomazia internazionale: Putin vuole davvero la pace? O meglio: quale pace? Perché mentre Vladimir Putin accetta una “tregua limitata” sui bombardamenti alle infrastrutture energetiche, Kiev piange nuove vittime sotto i droni russi. La notte tra il 22 e il 23 marzo è stata una delle più dure dell’ultimo mese: almeno due morti a Kiev, sette feriti, interi edifici in fiamme e civili evacuati in preda al panico. E mentre le sirene antiaeree urlano nei distretti di Dnipro e Podil, a Riad si prova a far tacere i fucili.

Una pace che sembrerebbe essere ad orologeria… Non c’è dubbio: gli Stati Uniti premono per un accordo, spinti da un Donald Trump deciso a mettere il suo nome su un possibile cessate il fuoco. “Avremo presto una tregua totale”, ha dichiarato venerdì, forse più per costruire la narrazione che per annunciare una realtà. In effetti, qualcosa si è mosso: un’intesa “in principio” è stata raggiunta tra Mosca e Kiev, secondo la Casa Bianca, per fermare gli attacchi alle infrastrutture critiche. Ma ognuno la racconta a modo suo.

Secondo Washington, la tregua include sia energia che trasporti. Per il Cremlino, riguarda solo le centrali elettriche. Zelenskij sogna una pausa che coinvolga anche porti e ferrovie. Ma i fatti? La sera stessa dell’accordo, un ospedale a Sumy viene colpito, le accuse rimbalzano, i sospetti si infittiscono. Kiev accusa Mosca di violare l’intesa. Mosca ribatte: è stata Kiev a colpire un impianto di gas a Sudža, nella regione di Kursk. Un’operazione “false flag”? Propaganda? Guerra dell’informazione?

Ma i negoziati di Riad sono una speranza o è solo vetrina? Lunedì, delegazioni ucraine e russe arriveranno nella capitale saudita per colloqui separati con i rappresentanti statunitensi. Sul tavolo: un cessate il fuoco più ampio, più chiaro, più reale. Ma già da ora si percepisce che nessuna delle due parti è pronta a cedere davvero. Zelensky insiste su una roadmap: tregua immediata, poi trattativa per una pace duratura con garanzie occidentali. Putin vuole tutto e subito: riconoscimento delle quattro regioni annesse, blocco definitivo agli aiuti militari esteri, nessun soldato NATO sul territorio ucraino. Condizioni che, per Kiev e l’Europa, sono irricevibili.

Nel frattempo, la macchina della guerra continua a macinare vite. Lo scorso 18 marzo, un’unità ucraina ha condotto una rara incursione nel territorio russo di Belgorod, innescando pesanti scontri. L’attacco ha avuto un doppio effetto: ha rafforzato la propaganda russa interna (“vedete? ci attaccano loro!”) e ha irrigidito ulteriormente Mosca, che ha intensificato le operazioni aeree, come dimostra il recente massacro a Zaporož’e, dove è morta un’intera famiglia, tra cui una ragazza di 14 anni.

Anche quando le parti sembrano concordare qualcosa, la realtà si incarica di smentirle. Il 19 marzo, un maxi-scambio di prigionieri ha visto tornare a casa 175 soldati per parte. Un gesto di distensione? Forse. Ma nei giorni successivi, la violenza è esplosa con nuova furia. Le truppe russe accusano Kiev di proseguire gli attacchi su infrastrutture energetiche, Kiev accusa Mosca di bombardare ospedali e quartieri residenziali. Una guerra ibrida dove nessuno si fida più di nessuno, e ogni tregua sembra solo un trucco per rifiatare.

In tutto questo, l’Europa resta sospesa. Per ora, la Russia non l’ha mai attaccata direttamente – ed è un argomento che Mosca non manca di ripetere nei forum internazionali. Ma il vento cambia. Mentre Bruxelles fatica a mantenere il ritmo degli aiuti a Kiev e le scorte di armi si assottigliano, l’ipotesi di un intervento di peacekeeping internazionale si fa strada. La Cina, secondo il settimanale tedesco Welt am Sonntag, starebbe sondando con l’UE la possibilità di partecipare a una “coalizione dei volenterosi” per garantire una tregua. Una mossa delicata, che potrebbe, forse, convincere Putin ad accettare la presenza straniera sul terreno. Ma a quale prezzo?

Nel frattempo, l’Europa guarda con timore all’autunno americano: se Trump dovesse tornare alla Casa Bianca, l’equilibrio salterebbe. Lo spettro di un disimpegno USA si fa sempre più concreto. E l’Europa, priva di una propria difesa comune strutturata, rischia di trovarsi scoperta, esposta, vulnerabile.

Il presidente ceco Petr Pavel ha parlato chiaro: la controffensiva ucraina del 2023 è fallita per mancanza di mezzi. Il rapporto di forze è sempre più favorevole a Mosca. Kiev ha appena ricevuto nuovi caccia F-16, ma da quale Paese? Non è dato sapere. Le forniture restano opache, discontinue, insufficienti.

Intanto, i blackout tornano a colpire l’Ucraina. I Paesi Bassi hanno stanziato 65 milioni di euro per ripristinare il sistema energetico ucraino, un gesto importante ma non risolutivo. L’inverno non è poi così lontano.

Ma c’è un’altra domanda che inizia a farsi strada anche tra gli analisti più prudenti: l’Ucraina sta diventando una colonia degli Stati Uniti? Washington guida i negoziati, impone le condizioni, supervisiona gli aiuti e detta l’agenda diplomatica. Persino il dialogo di Riad si svolge su binari americani, con delegazioni separate e un ruolo centrale per Trump e il suo entourage. Non è un’accusa, ma un’osservazione geopolitica: in assenza di un’Europa capace di agire in autonomia e con una Russia percepita come minaccia esistenziale, Kiev ha dovuto legarsi mani e piedi a Washington. E questo legame, pur garantendo sopravvivenza militare, solleva dubbi sulla reale sovranità politica del Paese.

Zelenskij lo sa. E forse è anche per questo che, prima di volare idealmente a Riad, ha convocato il suo gabinetto militare a Kharkiv, in una mossa simbolica quanto operativa: ribadire che la guida della resistenza parte ancora dal cuore ucraino.

La guerra tra Russia e Ucraina non è più solo una questione di confini o identità. È diventata una scacchiera globale, dove ogni mossa ha implicazioni planetarie. E la pace, quella vera, quella giusta, resta un miraggio, perché le condizioni imposte da Mosca sono per Kiev (e non solo) inaccettabili, e la fiducia reciproca è crollata sotto le macerie dei palazzi bombardati.

A Riad si parlerà ancora. Forse si firmerà qualcosa. Ma finché i droni russi attraverseranno il cielo ucraino, finché le promesse verranno smentite dalle esplosioni, finché l’Europa resterà spettatrice e l’Ucraina dipendente, l’unica pace possibile sarà quella scritta con l’inchiostro dell’ambiguità.

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