A vent’anni, iscritto a Ingegneria gestionale al Politecnico con una media da fuori classe, Filippo (nome di fantasia) sembrava incarnare il percorso impeccabile tipico di certe famiglie della borghesia milanese. Figlio unico di un notaio di zona centro e nipote di una stirpe storica, conduceva una vita ordinata e irreprensibile. Ma quando calava la sera, quella stessa compostezza lasciava spazio a una personalità completamente diversa.
Nel suo racconto emerge un ruolo che nessuno avrebbe potuto immaginare. Un istruttore di un piccolo gruppo di giovani “maranza”, adolescenti in cerca di riconoscimento, attenzioni e soprattutto una guida che lui sapeva offrire, manipolando le fragilità di ragazzi ancora molto giovani.
Il reclutamento: attenzione, regali e disciplina
Le sue serate iniziavano spesso tra via Rosales e via de Tocqueville. Un pacchetto nuovo di sigarette elettroniche agitato ad arte fungeva da richiamo. Bastava poco per attirare due o tre sedicenni, cappuccio alzato e sguardo diffidente. Filippo li tranquillizzava con calma, li accoglieva come “prescelti”, offriva accessori costosi e una presenza che per loro aveva la forza di un riconoscimento mai avuto.
Gli insegnamenti erano diretti. Scegliere la vittima osservandone mani, postura, sicurezza; colpire rapidi, senza esitare. Lui osservava da lontano, senza mai partecipare fisicamente. Il bottino lo faceva portare indietro più come rituale che come guadagno personale. «Io comando, voi imparate», era la regola.
Il profilo psicologico: tra vuoto identitario e bisogno di controllo
La diagnosi parla di disturbo borderline con tratti antisociali. Nelle sedute settimanali in zona Cadorna, Filippo ammette che la violenza esercitata dagli altri gli procura una sorta di quiete interiore: «Quando colpiscono, mi calmo. È come se quella violenza fosse mia».
Di giorno, però, nulla traspare: lezioni, orari rispettati, camera in ordine, vita all’apparenza perfetta.
L’ultimo referto della psichiatra è severo. Tendenza a creare micro-gruppi manipolati per compensare un’identità fragile e rischio di comportamenti indirettamente aggressivi.
L’episodio che fa crollare tutto
A maggio, tre ragazzi del suo gruppo tentano di strappare un orologio a un passante in via Borsieri. L’aggressione sfugge di mano, l’uomo cade e batte la testa. La polizia blocca due minorenni poco distante. In questura, i nomi coincidono: «È stato lui a dirci cosa fare. Senza di lui non avremmo agito».
All’alba, due auto civetta si fermano davanti al palazzo liberty della sua famiglia. Gli agenti salgono, bussano. Filippo apre con una felpa e gli appunti di Analisi sul tavolo. «Fate piano», mormora.
Cosa dice la ricerca su disturbo borderline e tratti antisociali
La combinazione dei due disturbi non è rara e comporta impulsività, instabilità emotiva, difficoltà relazionali e tendenza a manipolare o ignorare le norme sociali. Secondo diversi studi, questi profili psicologici possono emergere da un insieme di fattori: temperamento, vulnerabilità genetica, psicopatologie nei genitori e interazioni familiari disfunzionali.
La teoria biosociale di Linehan evidenzia un circolo vizioso. Un bambino emotivamente disregolato può suscitare risposte genitoriali rigide o incoerenti, che a loro volta acuiscono la sua instabilità. Tuttavia, pochi studi hanno analizzato nel tempo queste dinamiche.
Un progetto dell’Università di Pittsburgh, basato su 2451 adolescenti seguite dai 14 ai 17 anni, ha esaminato proprio la relazione reciproca tra sintomi del disturbo borderline e comportamenti genitoriali. I risultati mostrano un legame bidirezionale. Sintomi più persistenti nelle ragazze erano associati a un aumento delle punizioni e una diminuzione del sostegno emotivo familiare. A loro volta, questi comportamenti genitoriali intensificavano i sintomi.
Le caratteristiche del temperamento giovanile sembrano predire maggiormente lo sviluppo del disturbo, mentre sia fattori temperamentali che psicopatologia genitoriale influenzano le reazioni educative. Comprendere questa dinamica reciproca è fondamentale nella presa in carico clinica, indipendentemente dal genere, pur essendo lo studio riferito a una popolazione femminile.
