C’è un punto, nella storia delle guerre, in cui la violenza smette di essere un mezzo e diventa un linguaggio. A Gaza, questo punto è stato raggiunto e superato. Le testimonianze raccolte nel documentario Breaking Ranks: Inside Israel’s War, voci di soldati israeliani, ufficiali e testimoni, disegnano un quadro spaventoso, un conflitto in cui la distinzione tra combattente e civile è evaporata, sostituita da una logica arbitraria in cui un gesto, un passo troppo rapido o troppo lento, può significare la condanna a morte.
“Se vuoi sparare, puoi farlo”: la dissoluzione della disciplina
“Se vuoi sparare senza ritegno, puoi farlo”, dice Daniel, comandante di un’unità di carri armati dell’IDF. Non è una frase detta con leggerezza, ma la sintesi di un crollo morale e disciplinare che trasforma un esercito regolare in una macchina di distruzione senza freni. I racconti convergono, uomini disarmati uccisi perché si muovevano “in modo sospetto”, civili falciati mentre correvano verso un punto di distribuzione di aiuti, edifici civili demoliti perché “un uomo stendeva il bucato sul tetto”.
La dottrina del sospetto e la morte come routine
Non siamo di fronte a errori isolati o a “tragici incidenti” come da copione ufficiale. Siamo di fronte a un sistema, a una cultura operativa che ha interiorizzato l’idea che a Gaza “non esistono innocenti”. Questa frase, ripetuta come un mantra dai comandanti ai soldati, non è solo il sintomo di un’ideologia militarista, è l’annuncio di una dottrina genocidaria. È il linguaggio che prepara le mani, e la coscienza, a compiere l’irreparabile.
Il “protocollo delle zanzare”: il civile come strumento
I soldati intervistati raccontano dell’uso di scudi umani, civili palestinesi mandati nei tunnel o davanti ai carri armati, equipaggiati con telefoni per trasmettere dati GPS. Una pratica, definita “protocollo delle zanzare”, che non solo viola il diritto internazionale ma rovescia completamente l’etica militare, il civile diventa strumento, l’uomo diventa mezzo.
La retorica che legittima la vendetta
Dietro a questo degrado non c’è solo la rabbia per il massacro del 7 ottobre. C’è una retorica, alimentata da esponenti politici e religiosi israeliani, che ha legittimato la vendetta come principio strategico. “Non esistono civili innocenti a Gaza”, aveva dichiarato il presidente Isaac Herzog nei giorni successivi all’attacco di Hamas. Parole che, in un esercito già esasperato, si trasformano in licenza di uccidere.
Quando un rabbino militare insegna ai soldati che devono “essere come loro, il 7 ottobre”, e che “non bisogna discriminare” tra civili e combattenti, il confine tra guerra e sterminio non è più una linea sottile, è già stato oltrepassato.
Gaza, la rovina di Israele
Il risultato è nei numeri e nei corpi, secondo un’analisi basata sui dati interni dell’IDF, l’83% delle vittime a Gaza sono civili. Oltre 69.000 palestinesi uccisi, in gran parte donne e bambini, in meno di due anni di guerra. Il tutto in nome di un’operazione che avrebbe dovuto “smantellare Hamas”. Ma Hamas è ancora lì, mentre Gaza è ridotta a un cumulo di rovine, e Israele ha perso l’anima che pretendeva di difendere.
Le dichiarazioni ufficiali dell’IDF parlano di “impegno verso il diritto internazionale” e “investigazioni in corso”. Ma la verità è che nessuno paga, nessuno risponde. La catena del comando si dissolve in un labirinto di autoassoluzioni. L’impunità diventa il cemento della menzogna.
Il silenzio complice dell’Occidente
C’è qualcosa di profondamente inquietante, tuttavia, nel silenzio dell’Occidente. I governi che si ergono a difensori dell’ordine liberale continuano a parlare di “diritto alla difesa di Israele” mentre i bambini muoiono in fila per un sacco di farina. La ragion di Stato ha cancellato la ragione morale.
La vergogna e l’abisso morale
“Mi sento come se avessero distrutto tutto il mio orgoglio di essere israeliano”, confessa il comandante Daniel. È una frase che pesa più di mille comunicati diplomatici. Perché dice che, anche dentro l’uniforme, qualcuno ha capito di aver varcato una soglia da cui non si torna indietro.
La guerra a Gaza non è più una guerra. È un collasso della civiltà. E il mondo che guarda, muto, ne condivide la colpa.
