Salari in caduta libera: l’Italia cresce, ma gli italiani si impoveriscono

Mentre i profitti delle imprese e delle società pubbliche toccano livelli record, il potere d’acquisto dei lavoratori italiani è crollato più che in qualunque altro Paese dell’eurozona. Alla radice della rabbia sociale che monta nel Paese c’è un profondo squilibrio nella distribuzione della ricchezza.

Salari italia

Negli ultimi anni l’Italia ha registrato una crescita economica sorprendente: dal punto più basso della pandemia, il PIL è aumentato del 16,6%, superando la media dell’area euro (+12,3%). Eppure, dietro i numeri positivi si nasconde una realtà amara: i salari reali sono diminuiti più che in qualunque altro grande Paese europeo.
Secondo la Banca Centrale Europea, il potere d’acquisto delle buste paga è sceso del 5,8% dal 2021, mentre l’OCSE stima un calo addirittura del 7,5% entro il 2024. Solo Repubblica Ceca e Svezia fanno peggio.

Salari: l’ira silenziosa degli italiani

Questa erosione dei redditi spiega, almeno in parte, la crescente rabbia sociale che attraversa il Paese. Le manifestazioni e le proteste che oggi si accendono attorno a Gaza o ad altre cause internazionali riflettono anche un malessere interno: molti italiani si sentono vittime di un sistema economico ingiusto, che cresce senza distribuire i frutti della crescita.
È una forma di identificazione: come i civili ignorati nei conflitti, molti lavoratori si percepiscono come dimenticati, schiacciati da dinamiche economiche che non controllano.

Dove sono finiti i frutti della crescita?

La domanda cruciale è una: chi ha beneficiato della ripresa italiana?
Non certo i 16,5 milioni di lavoratori dipendenti, che hanno visto il proprio potere d’acquisto ridursi drasticamente. Mentre l’inflazione erodeva i redditi, i profitti delle imprese – soprattutto quelle finanziarie e pubbliche – sono esplosi.

  • Le grandi banche italiane nel 2024 hanno raggiunto utili netti per 27,5 miliardi di euro, pari a oltre l’1% del PIL, con una redditività media del 36%, sei volte superiore a quella del settore manifatturiero.

  • Le società a controllo pubblico hanno raddoppiato il loro margine operativo, salendo dal 4,5% del 2022 al 9,5% del 2024. Il loro fatturato complessivo è cresciuto da 129,6 a 166,9 miliardi di euro, ben oltre l’inflazione.

Mediobanca sottolinea che molte imprese italiane avrebbero potuto aumentare i salari di circa 4.000 euro annui senza compromettere i profitti. Ma ciò non è avvenuto.

Un sistema che premia il capitale e punisce il lavoro

Non si tratta di un progetto deliberato, ma di una inerzia strutturale: contratti collettivi fermi, regole obsolete, rinnovi troppo lenti e un sistema fiscale che penalizza chi non può evadere.
Secondo l’economista Marco Leonardi (Università di Milano), le regole dei contratti nazionali non tengono più il passo con l’inflazione reale e lasciano i lavoratori scoperti. Il risultato è un trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale che si autoalimenta, spingendo il Paese verso una crescente disuguaglianza.

Le imprese pubbliche e il paradosso italiano

Il caso delle public utilities, le grandi società di rete a controllo statale o municipale, è emblematico:
nel 2025 il loro fatturato complessivo dovrebbe raggiungere 138 miliardi di euro, con una crescita più che quintuplicata rispetto all’inflazione.
Tuttavia, i dipendenti di queste aziende hanno perso quasi il 9% di potere d’acquisto dal 2021, mentre manager e azionisti pubblici incassano dividendi sempre più elevati.
In pratica, una parte consistente della ricchezza generata dall’economia nazionale finisce nelle casse dello Stato azionista o nei pacchetti premio dei top manager, non nelle tasche dei cittadini.

Il prezzo della disuguaglianza

Il risultato è un Paese spaccato: da un lato imprese e istituzioni pubbliche che accumulano utili, dall’altro famiglie che faticano a coprire le spese essenziali, soprattutto quelle alimentari, cresciute più dell’inflazione generale.
La perdita di potere d’acquisto è stata più pesante proprio per i redditi bassi, ampliando le distanze sociali.

Ecco perché la frustrazione economica si trasforma in collera politica. Oggi si manifesta nei cortei per Gaza, domani potrebbe esplodere in nuove forme di protesta, come avvenne con i gilet gialli in Francia.

Un avvertimento per la politica

Mediobanca conclude che “in molti settori italiani la generazione di valore avrebbe consentito una redistribuzione a tutela dei salari, senza compromettere la remunerazione degli azionisti”.
Tradotto: si poteva fare di più per i lavoratori, senza danneggiare nessuno.

Ma la politica, i sindacati e le istituzioni sembrano incapaci di cogliere il segnale. Intanto, la pressione sociale continua a salire, come lava sotto la crosta di un vulcano.
E se oggi si esprime nella solidarietà per le vittime di guerre lontane, domani potrebbe trasformarsi in una rivolta contro l’ingiustizia economica di casa nostra.