
“il mondo ha la forma di uno spartito. Ogni cosa prende vita se impari ad ascoltarne il suono segreto.”
J. S. Bach
Roberta Di Mario è pianista e compositrice di musica contemporanea di grande eclettismo, che dà vita a creazioni sofisticate e modernissime, fortemente comunicative.
La incontriamo prima del suo concerto sold out a Parma, alla Casa della Musica, dove si esibisce con il suo spettacolo di musica e teatro A New Beginning, il suono dopo il silenzio, accompagnata da Enrico Piccinni al violino e Andrea Sacchi al violoncello.
Partiamo dalle origini: quando hai incontrato la musica per la prima volta, quali sono le tue ispirazioni?
Ho iniziato a suonare da piccolissima, avevo 5 anni, ho imparato le note prima dell’alfabeto. A 11 anni sono entrata in conservatorio, anche se accanto alla mia formazione classica e concertistica ho sempre amato molto la musica pop, il jazz, i musical, amavo sperimentare, conoscere nuovi mondi sonori. Poi ho fatto due dischi da cantautrice, di cui ho curato anche i testi, per poi recentemente tornare alla musica strumentale, come compositrice.
Dentro i miei suoni quindi c’è tutto questo, le contaminazioni, gli altri generi musicali, la mia storia: noi siamo quello che suoniamo. Noi siamo suono, e comunichiamo prima con i suoni che con le parole.

Il tuo ultimo album, Disarm, è uscito poco prima della pandemia.
Si, Disarm è uscito due mesi prima della pandemia, infatti ho dovuto interrompere il tour che avevo appena intrapreso. Ora Disarm si è trasformato in A new Beginning, il suono dopo il silenzio, che è questo spettacolo di musica e teatro con cui sto tornando a girare. Mi rattristava molto, durante la pandemia, il fatto di non poter condividere la musica: noi senza pubblico esistiamo a metà, anche se il mio lavoro di composizione è di per sé molto solitario.
Parlando di pandemia, come è stata per te, dal punto di vista artistico?
La pandemia mi ha attraversato anche dal punto di vista artistico, sicuramente. Il momento di chiusura ha coinciso per me con un momento di composizione, anche grazie ai tempi dilatati. Mi ha toccato molto questa esperienza, anche se non ho scritto esattamente sulla scia di quello stato d’animo: è raro per me. Io respiro molto e decanto molto, poi le cose mi arrivano più in là.
Lo scorso anno, proprio in questo periodo, quando era tutto chiuso, ho partecipato a Piano H: con un truck io e altri pianisti siamo andati nelle piazze degli ospedali, io ero al Niguarda, e ho fatto questo concerto per i pazienti che è stato definito una musicarezza, in un momento in cui tutto era fermo. Abbiamo molto potere noi, con la bellezza della musica, dell’arte, che è proprio la cura dell’anima.
Sei direttrice artistica del WE Women’s Equality Festival. A che punto siamo con la parità di genere nella musica?
È un festival a cui credo molto, un bellissimo progetto che ha portato a far emergere tematiche importanti sulla condizione della donna nella società e nella cultura, con collaborazioni importanti.
È vero, nella musica siamo poche, pianiste compositrici nel mondo contemporaneo, e penso che questo sia anche dovuto al fatto che non abbiamo avuto modelli. Noi oggi tentiamo di essere modello per le nuove generazioni, di cambiare il mondo a piccoli passi. Faccio sempre l’esempio della sorella di Mozart, musicista e compositrice che sembra fosse anche più talentuosa del fratello, ma quando è arrivata all’età da marito le è stato imposto di lasciare la musica, sposarsi e dedicarsi alla famiglia.
Noi siamo metà del mondo, e se a metà del mondo non fosse stato impedito di esprimersi, noi oggi avremmo il doppio di tutta la bellezza che ci circonda. Questa cosa del negare, del togliere, è una vera violenza contro le donne.

Durante il mio tour, per il 25 novembre sono stata all’ambasciata italiana a Copenhagen, per il giorno della lotta alla violenza contro le donne, alla presenza della vicesegretaria ONU per la parità di genere, e ho proprio capito come siamo molto lontani dalla comprensione della violenza, la leggiamo sul giornale, a volte decidiamo di non vederla. Anche la discriminazione è violenza.
Il cammino è molto lungo, e una cosa molto importante da fare è quella di educare gli uomini, di coinvolgerli: ecco perché il festival si chiama WE, noi, non è solo Women’s Equality. È proprio noi, uniti, uomini e donne fianco a fianco per combattere per le donne.
Com’è nato lo spettacolo A New Beginning, e la collaborazione con Cinzia Spanò?
È l’ultimo brano di Disarm, il mio ultimo lavoro, un concept album che è un percorso che procede dalla paura e si dipana fino ad arrivare ad un nuovo inizio. In effetti l’album (uscito poco prima dello scoppio della pandemia, ndr) ha anticipato un momento che nessuno si aspettava, di grande paura. Il disco si conclude proprio con A New Beginning, un nuovo inizio, una rinascita. L’ho scelto come fulcro dello spettacolo perché mi sembrava giusto con questo nuovo progetto portare speranza: il ritorno del suono, dopo il silenzio.
I testi sono miei, e la regia è di Cinzia Spanò, autrice, attrice, attivista per la parità di genere. È iniziata con lei questa collaborazione che è diventata anche una sorellanza. Quando c’è un incontro d’anime arrivano questi sodalizi senza forzature.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Vorrei tornare a portare in tour A New Beginning, in Italia e all’estero, e concentrarmi su questo. Poi ho in cantiere progetti nuovi con altre figure femminili, ci sono diverse cose in divenire. Mi interessa anche molto il mondo del cinema, per il quale sto scrivendo una soundtrack, di cui però non posso ancora anticipare nulla. E poi un nuovo disco, che chiuderà il percorso, e racchiuderà le composizioni che ho scritto durante la pandemia.
Vorrei portare la mia arte laddove si possa comunicare qualcosa che vada oltre la musica evocativa, vorrei unire alla bellezza della musica anche un valore, un significato più denso.