Zelensky in Vaticano: il rispetto che mancava

La scelta di non rispettare appieno il cerimoniale vaticano è un segnale politico fuori luogo, in un momento che chiedeva solo raccoglimento

Zelensky

Il funerale di Papa Francesco, nella sua solennità millenaria, avrebbe dovuto essere un momento di sospensione dalle battaglie del mondo. Una tregua morale, oltre che politica. E invece, anche in quel giorno, la guerra è entrata in Vaticano, attraverso il gesto simbolico, e non privo di polemica, del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Zelensky si è presentato all’ultimo saluto al Pontefice senza la sua consueta divisa militare, ma senza nemmeno adottare pienamente l’abito richiesto dal cerimoniale vaticano. Niente completo scuro, niente cravatta, niente rispetto integrale per un protocollo che non è mera forma, ma sostanza di un evento sacro e universale. Ha scelto invece una giacca scura, di taglio quasi militare, e una camicia nera, senza cravatta. Un abbigliamento che, pur rinunciando al verde militare, trasudava ancora il linguaggio bellico che Zelensky non ha mai smesso di parlare dal 2022.

Il presidente ucraino ha voluto, anche in quell’occasione, ricordare che il suo Paese è in guerra. Un messaggio comprensibile, persino nobile nel suo intento. Ma vi sono momenti in cui la comunicazione politica deve lasciare spazio al rispetto umano, al raccoglimento autentico, alla capacità di porsi in secondo piano di fronte a una figura che ha rappresentato la guida spirituale di miliardi di fedeli. Quel giorno, il protagonista doveva essere solo uno: Papa Francesco.

Invece, la scelta di Zelensky ha trasformato la sua presenza in una dichiarazione politica, in un monito, in un gesto di diplomazia militante. Un gesto che ha rotto l’equilibrio fragile di un rito che pretendeva, almeno per poche ore, di unire il mondo nella preghiera e nella memoria. Avrebbe potuto vestirsi come richiesto, senza perdere nulla della sua determinazione o del suo coraggio. Nessuno avrebbe pensato che l’Ucraina avesse ceduto, solo perché il suo presidente, per un giorno, aveva abbandonato l’uniforme morale della guerra.

Al contrario, avrebbe mostrato grandezza. Avrebbe dimostrato di saper distinguere i tempi della lotta da quelli della pietà. Di saper essere non solo il comandante in capo di una nazione ferita, ma anche un uomo capace di riconoscere l’universalità del lutto e della preghiera.

Il rispetto per il Papa, per la Chiesa, per i fedeli, avrebbe meritato un segnale diverso. Anche la guerra più giusta ha bisogno, talvolta, di essere silenziata per rendere omaggio a chi ha speso la vita per costruire ponti di pace.

Zelensky ha perso una piccola, ma significativa occasione. E il mondo se n’è accorto.