La vendetta dell’imperatore: Wall Street brucia

Un crollo annunciato: persi 6.600 miliardi in due giorni, ma la Casa Bianca tira dritto

L'imperatore

Mentre Wall Street crolla sotto il peso di una tempesta perfetta, con una distruzione di valore pari a 6.600 miliardi di dollari, Donald Trump, nella sua armatura da condottiero solitario, dichiara guerra al mondo intero. I mercati lo puniscono, ma lui rilancia. Le imprese tremano, e lui esulta. Nella sua retorica, il disastro è solo un necessario sacrificio sull’altare di una «rivoluzione economica». La perdita del 15% di valore di Blackstone, guidata dal suo alleato Stephen Schwarzman, è il simbolo potente di un sistema che sta implodendo sotto la spinta di un’autorità che ha deciso di sostituire la razionalità economica con l’ideologia del comando.

La verità come optional

Trump non governa con i numeri, ma con le percezioni. La sua è una leadership post-verità, dove i dati sono strumenti di propaganda e non fondamenti decisionali. Quando il presidente comincia a prendere decisioni economiche sulla base di falsità, il risultato non può che essere un crollo. Eppure, nessuno ha avuto il coraggio di fermarlo. I capitani dell’industria, terrorizzati dalle ritorsioni di un uomo che considera il dissenso un atto di tradimento, si sono fatti complici silenziosi. Così, la Casa Bianca si è trasformata in un’arena per monologhi imperiali, con i “conservatori responsabili” epurati e i fedelissimi pronti a obbedire ciecamente.

Dalla paranoia personale al disordine globale

Il cuore pulsante della crisi non è economico, ma psichico. Trump sta esportando nel mondo la sua personale lotta contro un passato che lo ha ignorato, svilito, sottovalutato. Nella sua narrativa tossica, l’America non è più guida del mondo libero, ma vittima di un’ingiustizia globale perpetrata dagli stessi alleati. Da qui nasce la guerra commerciale, il rigetto delle istituzioni multilaterali, la diffidenza verso ogni forma di cooperazione: un’ideologia del rancore che si maschera da patriottismo.

Un partito sull’orlo del baratro

Le prime crepe si vedono anche nel fronte repubblicano. Ted Cruz parla apertamente di un «bagno di sangue» elettorale se Trump insisterà con la guerra dei dazi. Gli imprenditori cominciano a farsi sentire, i mercati mandano segnali inequivocabili, ma la Casa Bianca prosegue indifferente. È la cieca esecuzione di una promessa elettorale elevata a dogma: Trump non ascolta i mercati, perché si sente investito da una missione superiore, quella di “salvare” l’America anche contro la sua volontà.

Il nuovo capitalismo autoritario

Quella che si profila all’orizzonte è una trasformazione profonda dell’ordine economico: il libero mercato cede il passo a un capitalismo sotto tutela politica. È un modello oligarchico, centralizzato, dove pochi uomini al comando decidono cosa è giusto e cosa no. E in questo schema si trovano perfettamente a loro agio figure come Elon Musk e Peter Thiel: il primo, sempre più vicino ai poteri forti e agli esperimenti autoritari; il secondo, ideologo di un futuro in cui le banche centrali e il sistema finanziario tradizionale vengono rottamati in favore delle criptovalute e di un’élite tecnocratica.

Il prezzo dell’arroganza

Trump ha trasformato l’imprevedibilità in strategia. Ma l’imprevedibilità, in economia, non è forza: è veleno. Il capitalismo, per funzionare, ha bisogno di fiducia, di regole condivise, di razionalità. Distruggere questi pilastri nel nome di una crociata personale significa precipitare nel caos. E stavolta, a pagare il prezzo più alto non saranno solo i mercati, ma la democrazia stessa.