Il sequestro del cantiere Unico-Brera non è un incidente isolato né un semplice contenzioso tecnico. È l’ennesimo tassello di una vicenda che da anni racconta una stessa storia, la trasformazione sistematica di aree pubbliche o vincolate del centro di Milano in operazioni immobiliari di lusso, mascherate da “ristrutturazioni” e autorizzate con procedure semplificate che hanno aggirato pianificazione, controlli e interesse collettivo.
La magistratura parla chiaro. Non di errori in buona fede, ma di un sistema. Professionisti, costruttori e funzionari comunali che “governavano perfettamente la materia” e che hanno concorso a costruire titoli edilizi “palesemente illegittimi”. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, dove dovevano sorgere alloggi di edilizia popolare, oggi si vendono monolocali da 700 mila euro. Dove il Comune avrebbe dovuto incassare oneri pieni da nuova costruzione, ha accettato pagamenti ridotti, con uno sconto che arriva al 60%.
Qui si apre il nodo politico. Perché al di là delle responsabilità penali individuali, che spetta ai giudici accertare, resta una responsabilità di governo che non può essere elusa. Beppe Sala è sindaco dal 2016. Da quasi un decennio guida un’amministrazione che ha fatto dell’urbanistica uno dei motori principali dello “sviluppo” milanese. E proprio sotto questa gestione, secondo le indagini, la città avrebbe perso decine di milioni di euro in oneri di urbanizzazione, risorse che avrebbero potuto finanziare servizi, trasporti, scuole, edilizia sociale.
Il punto non è sostenere che il sindaco fosse a conoscenza di ogni singolo atto. Il punto è un altro, più politico e più serio, la vigilanza. Un sindaco non è un notaio che si limita a firmare, ma il responsabile ultimo dell’indirizzo e del controllo dell’apparato amministrativo. Quando per anni emergono pratiche ripetute, nuove costruzioni fatte passare per ristrutturazioni, SCIA usate come scorciatoia, piani attuativi evitati, standard urbanistici compressi, non si può parlare di casi isolati. È una linea di governo, o quantomeno una sua colpevole omissione.
Colpisce, in questa storia, anche l’assenza di un’efficace autotutela comunale. Lo dice il gip: il sequestro è l’unica misura possibile perché l’amministrazione non è intervenuta. E non è intervenuta perché, secondo l’accusa, pezzi della stessa amministrazione erano parte del problema. Un corto circuito istituzionale che chiama in causa chi quell’amministrazione la dirige.
Milano è stata raccontata per anni come il modello italiano dell’efficienza, dell’attrattività, della modernità. Ma il modello che emerge dalle carte giudiziarie è un altro, una città dove il patrimonio pubblico viene dismesso senza una visione sociale, dove la rendita immobiliare prevale sull’interesse collettivo, dove il diritto alla casa viene sacrificato sull’altare del “fare presto”.
Beppe Sala non può cavarsela rifugiandosi nel mantra della “fiducia negli uffici” o nel richiamo alle sentenze amministrative favorevoli. La politica non è solo legittimità formale, è responsabilità sostanziale. E oggi la domanda è inevitabile, chi governa Milano ha davvero vigilato nell’interesse della città, o ha lasciato che altri lo facessero al posto suo, e contro i cittadini?
Finché questa domanda resterà senza una risposta politica chiara, ogni sequestro non sarà un fulmine a ciel sereno, ma la conferma di un fallimento. Non giudiziario. Politico.
