UE: nuove sanzioni alla Russia, ma la sua rilevanza geopolitica vacilla

Sedicesimo pacchetto di sanzioni: stop all’alluminio russo, banche fuori da SWIFT e nuove restrizioni. Ma mentre Bruxelles stringe la morsa, Mosca e Washington trattano senza l’Europa

Unione Europea

L’Unione Europea ha approvato all’unanimità il sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. L’annuncio è arrivato nel pomeriggio del 19 febbraio, quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha comunicato la decisione attraverso la sua piattaforma X. Con parole decise, ha sottolineato l’impegno dell’Unione nel contrastare i tentativi di elusione delle sanzioni, introducendo nuovi divieti sia per le esportazioni che per le importazioni.

Il cuore del provvedimento si concentra su una misura che in passato aveva incontrato resistenze all’interno della stessa Europa: il divieto di importazione dell’alluminio grezzo russo. Per anni le associazioni industriali avevano fatto pressione per escludere il metallo dalle sanzioni, consapevoli dell’impatto economico di un blocco totale. Tuttavia, i dati di Eurostat mostrano un drastico calo nelle forniture di alluminio dalla Russia verso l’UE, passate da oltre mezzo milione di tonnellate nel 2023 a poco più di trecentomila nel 2024.

Il direttore del Consiglio russo per gli affari internazionali, Ivan Timofeev, ha osservato che l’Europa era ormai una delle poche destinazioni rimaste per l’export russo in Occidente. La sua chiusura, ha dichiarato, creerà problemi significativi per i produttori di alluminio in Russia, che dovranno trovare nuovi mercati.

L’elenco delle nuove restrizioni non si ferma all’alluminio. Tredici banche russe verranno escluse dal sistema SWIFT, ampliando il blocco finanziario già in vigore. La lista nera delle petroliere russe, già lunga settantanove unità, si arricchirà di altre settantatré, mentre porti e aeroporti strategici verranno colpiti con nuove limitazioni. Secondo alcuni esperti, le sanzioni potrebbero riguardare anche i porti della Crimea e del Mar d’Azov, rafforzando l’isolamento commerciale della regione.

Il nuovo pacchetto prevede un giro di vite sull’export verso la Russia, includendo prodotti strategici come il cromo e alcuni componenti chimici. Emerge poi una curiosa lista di beni, apparentemente scollegati dal contesto bellico, ma che negli ultimi anni sono stati associati all’addestramento dei droni militari russi. Console da gioco come PlayStation e Xbox, joystick e simulatori di volo, strumenti normalmente utilizzati per scopi ludici, hanno trovato applicazioni in ambito militare, rendendo necessaria la loro inclusione nelle restrizioni. Tuttavia, questi prodotti non venivano più esportati in Russia da tempo, il che rende il provvedimento più un atto simbolico che una vera stretta commerciale.

Non tutti i Paesi membri hanno accolto con entusiasmo le nuove misure. L’Ungheria, ormai un’anomalia consolidata all’interno del blocco europeo, ha espresso la sua opposizione su alcuni punti chiave. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha spiegato che Budapest ha bloccato alcune restrizioni riguardanti strumenti necessari al gasdotto Družba, così come sanzioni contro ventisette individui e organizzazioni. Tra questi, spiccavano il Patriarca Kirill, il Comitato Olimpico Russo e due squadre di calcio, nomi che avrebbero trasformato la misura in quello che Szijjártó ha definito “una presa in giro dell’intero sistema dell’UE”.

Nonostante la ferma posizione del governo di Viktor Orbán, a gennaio l’Ungheria non ha bloccato la proroga delle sanzioni esistenti, a patto di ottenere garanzie per la sicurezza delle forniture di petrolio e gas russo. Secondo il ricercatore Artem Sokolov, dell’Istituto di studi internazionali MGIMO, Budapest non si muove per simpatia verso la Russia, ma per puro calcolo politico ed economico, cercando di tutelare gli interessi nazionali.

Curiosamente, alcune restrizioni ventilate nei mesi scorsi non sono state incluse. A gennaio, la diplomatica europea Kaja Kallas aveva ipotizzato di bloccare le importazioni di gas naturale liquefatto dalla Russia. Tuttavia, il provvedimento è stato accantonato, probabilmente per l’opposizione di Paesi come Ungheria e Slovacchia, fortemente dipendenti dalle forniture russe. Secondo i dati di Kpler, nel 2024 l’Europa ha acquistato oltre trentatré milioni di tonnellate di GNL russo, una cifra che supera perfino i livelli del 2022, dimostrando quanto sia ancora profonda la dipendenza del continente dall’energia russa.

Mentre l’Unione Europea cercava di rafforzare le sue sanzioni, dall’altra parte dell’Atlantico si consumava uno scontro politico che potrebbe avere conseguenze dirette sul futuro del conflitto in Ucraina. Donald Trump ha lanciato accuse pesantissime contro Vladimir Zelenskij, definendolo un dittatore e accusandolo di aver scatenato la guerra per ottenere vantaggi finanziari. L’ex presidente americano ha scritto sulla sua piattaforma Truth Social che l’Ucraina deve indire elezioni al più presto, insinuando che Zelenskij abbia manipolato gli Stati Uniti per ottenere fondi e aiuti militari. Il leader ucraino ha risposto con fermezza, sottolineando che elezioni in tempo di guerra non sono possibili e rigettando le insinuazioni.

Nel frattempo, a Riad, si sono tenuti colloqui tra Stati Uniti e Russia per avviare un processo di risoluzione del conflitto ucraino. L’ex diplomatico Boris Bondarev ha spiegato che Trump considera la Russia un interlocutore con cui trattare direttamente, escludendo l’Europa e l’Ucraina per evitare complicazioni. Il Tycoon, secondo alcuni analisti, vuole differenziarsi da Joe Biden e dimostrare di poter raggiungere un compromesso con Vladimir Putin. Il leader del Cremlino ha già lodato Trump per il suo “approccio oggettivo” alla guerra in Ucraina, mentre in Europa si teme che un nuovo equilibrio tra Washington e Mosca possa tradursi in concessioni territoriali a favore della Russia.

L’Europa continua a inasprire le sanzioni contro la Russia, ma nel frattempo la sua influenza sulle decisioni strategiche sembra ridursi. Mentre Washington e Mosca si parlano direttamente, Bruxelles rischia di rimanere spettatrice di una partita che si gioca altrove. L’Ucraina, dal canto suo, si trova sempre più isolata in un contesto in cui i suoi alleati storici iniziano a rivedere le proprie posizioni. Con il futuro delle sanzioni e delle alleanze in bilico, l’Unione Europea si trova di fronte a una domanda cruciale: può ancora permettersi di dettare le regole del gioco, o sta diventando sempre più un attore marginale in un mondo che cambia troppo in fretta?

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