L’Ucraina davanti all’ultimatum, l’Europa davanti allo specchio

Il piano Trump–Mosca ridisegna i confini del continente senza coinvolgere Bruxelles né Kiev.

Vladimir Putin - Donald Trump

La bozza in 28 punti filtrata nelle scorse ore, frutto di una trattativa parallela tra Steve Witkoff, negoziatore di Donald Trump, e Kirill Dmitriev, emissario del Cremlino, rappresenta molto più di un documento controverso. È la fotografia di un ribaltamento strategico, dopo quattro anni di guerra, con centinaia di miliardi spesi dall’Europa e centinaia di migliaia di vittime ucraine, la Russia appare sul punto di ottenere con la diplomazia ciò che non è riuscita a conquistare con le armi.

Le richieste di Mosca trasformate in “piano di pace”

Il cuore del piano è semplice quanto brutale, l’Ucraina deve cedere Crimea, Luhansk e Donetsk, congelare Kherson e Zaporizhzhia, ritirarsi da parte dell’oblast di Donetsk e accettare una smilitarizzazione parziale del proprio esercito, ridotto da 880.000 a 600.000 unità. A ciò si aggiunge l’obbligo costituzionale di rinunciare per sempre alla NATO, mentre la Russia otterrebbe una reintegrazione economica graduale, il ritorno nel G8 e un flusso cospicuo di investimenti occidentali.

Sono punti che ricalcano, quasi parola per parola, le richieste avanzate da Vladimir Putin fin dal 2022. Il piano non sembra quindi un compromesso ma un ultimatum mascherato, dove la proporzione delle concessioni è così squilibrata da far apparire l’Ucraina come una parte sconfitta costretta a firmare.

L’Europa esclusa dal tavolo delle decisioni

Ed è qui che emerge l’elemento più allarmante per l’Europa, la sua assoluta irrilevanza nel processo negoziale. Mentre il continente ha sostenuto Kiev con un impegno economico senza precedenti, industriale, militare, politico, le trattative decisive avvengono tra Washington e Mosca, con l’Ucraina relegata a spettatrice e l’Unione Europea ridotta al ruolo di finanziatore silenzioso.

Il piano Witkoff-Dmitriev rivela una verità che molti leader europei si rifiutano ancora di accettare, l’Europa non è un attore strategico, ma una periferia geopolitica che subisce le decisioni altrui. Dopo due anni di faticosi tentativi di mostrare coesione, iniziative diplomatiche mai decollate e investimenti miliardari per difendere un ordine internazionale fondato sul diritto, oggi Bruxelles scopre che la sua voce non è stata considerata nemmeno nella scrittura di un accordo che ridisegna i confini del continente.

La strategia di Trump: disimpegno e colpa scaricata

In questo vuoto politico si inserisce Trump, che interpreta la guerra non come una sfida sistemica ma come un’ingombrante distrazione. Il suo piano sembra costruito per permettergli di uscire elegantemente dal conflitto attribuendo la colpa dell’eventuale fallimento all’“ostinazione ucraina”.

Per Kiev, la proposta è irricevibile, significherebbe legittimare l’annessione russa, accettare la perdita definitiva di territori per i quali ha sacrificato un’intera generazione di soldati, e consegnarsi a un futuro di limitata sovranità. Ma rifiutarla espone Zelenskyy al rischio di essere accusato di aver ostacolato “l’unica offerta possibile”.

L’effetto paradosso in Ucraina

Il paradosso è che il piano, così sbilanciato, così intriso della logica del vincitore, potrebbe temporaneamente rafforzare internamente la leadership ucraina, costringendo oppositori e critici a compattarsi di fronte a richieste percepite come umilianti e inaccettabili.

L’Europa tra sconfitta e responsabilità futura

Per l’Europa, invece, questo piano rappresenta una sconfitta strategica prima ancora che militare. Dopo aver investito enormi risorse per evitare che Mosca emergesse come vincitrice morale del conflitto, rischia ora di ritrovarsi di fronte a un accordo che sancisce proprio ciò che voleva impedire, una Russia premiata, un’Ucraina indebolita, un continente marginalizzato.

Se questo documento dovesse diventare la base reale di un negoziato, l’Unione si troverebbe di fronte a una scelta cruciale, accettare il ruolo di semplice spettatrice della geopolitica o rivendicare finalmente la capacità di influenzarla. In gioco non c’è solo il destino dell’Ucraina, ma la credibilità stessa dell’Europa come attore politico nel mondo.