Sex work, professione da regolamentare. La proposta di legge

Il riconoscimento del lavoro sessuale come un’autonoma e legittima professione è una delle sei proposte di legge depositate in Cassazione a giugno dai Radicali italiani. Per garantire ai professionisti del sesso una vita più sicura e legale

È la notte tra il 19 e il 20 settembre 1958. Di fronte e all’interno di alcune abitazioni c’è un po’ di ressa. Molti sono gli uomini che si accalcano per entrare nelle “case chiuse” perché, allo scoccare della mezzanotte, entrerà in vigore la cosiddetta “Legge Merlin” che decreterà ufficialmente la fine della prostituzione “di Stato”, esercitata nei bordelli. Al momento della loro chiusura, in Italia, le “case di tolleranza” sono 560 e ospitano circa 2.700 prostitute.

Sex work, la realtà italiana e la proposta di legge

Oggi, dopo oltre sessant’anni, la legge che regolamenta la prostituzione in Italia è rimasta la stessa. E mostra tutti i segni del tempo. Non solo perché la società attuale non è più quella del Dopoguerra, quanto piuttosto perché, da quel 20 settembre 1958, tutte le migliaia di donne che lavoravano in un settore controllato e regolamentato si sono ritrovate in mezzo a una strada (letteralmente), a esercitare una professione illegale, vivendo una vita meno sicura.

La proposta di legge dei Radicali chiede una piena decriminalizzazione del sex work, rimuovendo tutti i divieti, le sanzioni e gli ostacoli normativi con i quali un’intera categoria di lavoratori e lavoratrici deve confrontarsi ogni giorno. Il fine è quello di riconoscere il lavoro sessuale come autonoma e legittima professione.

“Basato sui modelli adottati in Belgio e Nuova Zelanda, la nostra proposta verte sulla decriminalizzazione della prostituzione e sul riconoscimento giuridico, sociale e normativo del sex work come lavoro a tutti gli effetti, garantendo al sex worker la dignità di lavoratore autonomo e, quindi, la possibilità di aprire una partita IVA e pagare le tasse”. Questa è la finalità della legge, così come spiega la radicale Federica Oneda in un’intervista rilasciata a Rolling Stone Italia. Perché, continua Oneda: “Nei suoi oltre sessant’anni di applicazione, la legge Merlin ha finito per prendere di mira i lavoratori e le lavoratrici del sesso, legittimando un sistema di assoluta mancanza di tutela nei confronti delle persone che hanno deciso di svolgere questo lavoro”.

Sex work, fenomeno economico

Il fenomeno del sex work non è da sottovalutare, anche dal punto di vista economico. Secondo i dati riportati dal sito dei Radicali, attualmente, si stima che il numero di persone che esercitano nel mondo del sex work supera le centomila unità. Si tratta principalmente di donne, ma anche persone trans per il 15% mentre, solo il 5%, sono uomini, così come i circa 3 milioni di clienti di ogni età, professione, opinione politica, livello di istruzione e reddito. Il fatturato, secondo il Codacons, si aggirerebbe sui 3,6 miliardi di euro l’anno.

Qui, tuttavia, non si parla solamente di tributi non pagati e di mancati introiti per lo Stato italiano.  La legge Merlin, che mirava a contrastare il fenomeno dello sfruttamento e del favoreggiamento della prostituzione, ha di fatto contribuito al proliferare di un mercato senza controllo, sempre più spesso in mano alla criminalità organizzata italiana e straniera.

La proposta dei Radicali, di fatto, ha come finalità la tutela del sex worker contro lo sfruttamento, combattendo la piaga della tratta di esseri umani e la schiavitù di donne e uomini costretti a prostituirsi. Dall’altro lato, però, mira a rimuovere altri divieti, per esempio il clientelismo e il favoreggiamento. Oggi, spiega ancora la radicale Oneda, si puniscono principalmente condotte che spesso puntano ad aiutare chi svolge un lavoro sessuale. Ne sono un esempio le condanne per favoreggiamento reciproco delle sex worker che condividono un appartamento per abbattere i costi.

Le altre proposte di legge

Oltre al sex work, i Radicali italiani hanno depositato in Cassazione altre cinque proposte di legge: tutela del suolo, diritto all’aborto, reddito minimo di inserimento, burocrazia nel settore energetico e compensazione dei debiti dello Stato nei confronti delle imprese.