Sanremo: stile, performance e coreografie

Sanremo

Dopo aver assistito a tre lunghe, schematiche, rigorose, veloci serate del Festival di Sanremo, emergono alcuni segni distintivi che caratterizzeranno questa edizione. Il numero dei concorrenti è marcatamente elevato, ben 29 – anzi, 33 con i giovani – e ciò porta a una esagerazione che fa pensare che potessero bastarne anche una decina di meno, la varietà di esibizioni assume un vero e proprio stile Sanremo, che segnalano un cambiamento rispetto alle edizioni passate. Se già da tanto tempo ormai la valutazione non si concentrava più sulla performance vocale, l’estensione e la potenza del canto, oggi il focus si è spostato su un lussuoso contorno fashion trash, modaiolo.

L’abbassamento dell’età media dei partecipanti ha portato a una minore esperienza interpretativa, ma in compenso a una sofisticata attenzione all’estetica. Lo stile e il look sono entrati prepotentemente nella costruzione dell’immagine dell’artista, influenzando la percezione della sua performance e, in parte, il valore stesso della sua presenza sul palco.

Cantautori e minimalismo scenico

Tuttavia, ci sono alcune eccezioni. Brunori Sas, ad esempio, si limita a mettere al centro la canzone, evitando sovrastrutture visive. Lucio Corsi, invece, pur appartenendo a una nuova generazione di cantautori, introduce elementi fortemente rock e gesti simbolici: il modo in cui tiene il microfono sotto l’ascella mentre suona la chitarra è già diventato un segno distintivo della sua presenza scenica, una icona, quasi a dirci: non importa l’aspetto tecnico, meglio preferire l’autenticità di quel che suono e provo dentro di me.

Anche Simone Cristicchi, con il suo stile da “cantattore”, porta in scena una dimensione narrativa che va oltre la mera esecuzione musicale, se fossimo in un concorso canoro dovremmo dargli dieci per il testo, ma un cinque perché stona parecchio.

L’estetica in primo piano

Elodie rappresenta, forse, il caso più emblematico di performance costruita con precisione millimetrica. La sua esibizione richiama riferimenti internazionali come Dua Lipa o Beyoncé, con una cura coreografica impeccabile. Ogni dettaglio è studiato: il semplice gesto della mano che scorre sull’asta del microfono diventa un atto di seduzione, enfatizzato dalle unghie lunghe e smaltate di rosso. Alle sue spalle, le ballerine eseguono una coreografia sincronizzata, mentre lei, al centro, si trasforma in una scultura vivente. La sua bellezza trionfante e la padronanza della scena si accompagnano a costumi spettacolari, che accentuano ulteriormente la sua presenza magnetica.

Un’impostazione simile, ma più classica, ritroviamo in Marcella Bella. A differenza di Elodie, però, la sua performance segue uno stile lirico, “old school”: la cantante rimane più ferma sul palco, mentre la coreografia si sviluppa dietro di lei. Il focus resta sulla sua voce potente, con un’impostazione più statica e tradizionale.

Anche Rkomi ha puntato molto sulla fisicità e sul movimento. Nelle sue esibizioni si nota una ricerca della libertà espressiva del corpo, che oscilla tra una danza più strutturata e momenti di gestualità spontanea. Un equilibrio tra giovinezza e maturità artistica, che emerge anche nel modo in cui utilizza il ballo come codice di riconoscimento.

Riferimenti stilistici

Particolarmente interessante è la performance del frontman dei The Kolors. Il suo stile richiama dichiaratamente gli anni ’80, con movimenti e pose che sembrano studiate per evocare un’estetica alla John Travolta o Michael Jackson. Il gioco con le citazioni visive è evidente: la postura, i gesti e la cura nei dettagli rimandano a un preciso immaginario pop che è immediatamente riconoscibile dal pubblico. Anche i suoi due compagni di band si inseriscono perfettamente in questa costruzione scenica, contribuendo a una performance che non è solo musicale, ma fortemente visiva.

Achille Lauro e il teatro dell’immagine

Achille Lauro meriterebbe un capitolo a parte. Da sempre consapevole della centralità dell’immagine, ha costruito il suo personaggio mescolando estetica e teatralità. Quest’anno appare più sobrio rispetto al passato, quasi un dandy minimale: un’eleganza da “crooner” americano da piano bar, ma sempre attentamente studiata nei dettagli. Ogni scelta, dall’abbigliamento alle pose, è parte di un mosaico visivo che contribuisce alla sua identità artistica.

Fedez e un trucco come espressione artistica

Un discorso particolare merita Fedez. La sua immagine quest’anno è segnata da un elemento visivo forte: l’occhio nero, le pupille dilatate, un trucco che rimanda a un’estetica cinematografica. Questa scelta lo trasforma in una figura quasi aliena, un personaggio che, proprio per la sua alterità, può parlare di un indicibile, la depressione che si cura con le sostanze non diverse dalle droghe ma legalizzate a mantenere e reprimere le ansie della vita, sono così dichiarate emozioni e tematiche che altri eviterebbero. La sofferenza diventa parte integrante della sua esibizione, non solo attraverso le parole, ma anche tramite il linguaggio visivo.

Se da un lato alcuni artisti mantengono un approccio più classico, la maggior parte punta su una dimensione performativa che integra estetica e coreografia in modo sempre più raffinato e internazionale. L’evoluzione è evidente: Sanremo è sempre meno un concorso di canto e sempre più un grande spettacolo multimediale.