Sala: il ricorso ha pochissime chances; i club milanesi lasceranno San Siro

Foto: Arne Müseler

È di qualche giorno fa la notizia che il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha conferito mandato ai legali del Comune di intentare una causa dinanzi al Tar Lombardia al fine di far annullare il parere della Soprintendenza ai beni culturali milanese (reso il 26/7/23) con il quale quest’ultima ha espresso parere favorevole – confermato dalla Commissione Regionale – in ordine all’apposizione del vincolo culturale sul secondo anello dello stadio Meazza a partire dal 2025, nonché avverso l’atto della sezione archivistica di codesta Soprintendenza che ha dichiarato “bene culturale” (quindi già soggetta a vincolo) la Tribuna ovest dello stadio per la presenza di due targhette commemorative dei successi conseguiti dai club meneghini, che farebbe di essa un “archivio esposto”.

È noto, infatti, che a far data dal 2025, il secondo anello potrebbe essere considerato bene culturale “ope legis” (ovvero per legge, senza necessità di un atto specifico) in forza di quanto previsto dall’art.10 del codice dei beni culturali (ovvero con il decorso di 70 anni dall’ultimo intervento edilizio, essendo l’autore di esso non più in vita), fatta salva la verifica di cui all’art.12 all’avverarsi della predetta condizione temporale.Con il parere in questione, il primo cittadino del capoluogo lombardo ha quindi voluto “sollecitare” preventivamente le valutazioni che la Soprintendenza sarebbe stata chiamata a porre in essere nel 2025 al fine di evitare che l’iter amministrativo del progetto “cattedrale” (presentato da Inter e Milan) potesse subire una battuta d’arresto che avrebbe fatto fuggire i due club da San Siro, con conseguente danno per il Comune milanese che in tal caso si dovrebbe sobbarcare delle ingenti spese di manutenzione di un bene (lo stadio) destinato in tale ipotesi a diventare una sorta di cattedrale nel deserto.

Stando così le cose, il menzionato parere reso dalla Soprintendenza non poteva non suscitare il comprensibile disappunto del Sindaco Sala, il quale, come dicevamo, ha quindi disposto la sua impugnazione dinanzi al TAR Lombardia.Riassunti i fatti, intendiamo adesso evidenziare alcune criticità legate a tale azione giudiziaria, che, a nostro avviso, ha pochissime possibilità (per non dire quasi nessuna) di essere accolta.

Due sono le problematiche ostative al buon esito del ricorso. Innanzitutto, ci riferiamo alla carenza d’interesse ad impugnare questo parere da parte dell’amministrazione comunale.Ed infatti trattasi di un parere facoltativo preventivamente richiesto dal Comune alla Soprintendenza la cui impugnabilità non è prevista dalla legislazione vigente. Ricordiamo, infatti, che nel caso di specie non siamo in presenza nemmeno di un atto definibile “endoprocedimentale”, perché, non essendo ancora maturato il termine dei settanta anni per considerare lo stadio come vincolato “ope legis” (e quindi non essendo ancora formalmente iniziato un procedimento di valutazione del vincolo) l’impianto potrebbe teoricamente subire delle trasformazioni tali da non poterlo più considerare come assoggettabile a vincolo.Difetta, quindi, un presupposto fondamentale in tema di ammissibilità del ricorso, ovvero l’attualità dell’interesse (legittimo) leso. Inoltre, sotto il profilo del “merito” dell’azione, è risaputo che il parere della Soprintendenza è dotato di una discrezionalità – definita “tecnica” – che impedisce al TAR di poterla sindacare. Ciò comporta che tale organo giudiziario possa annullare l’atto della Soprintendenza solo laddove questo violi la legge ovvero rappresenti un eccesso di potere (nel senso che vada oltre le prerogative che la legge attribuisce a tale organo amministrativo).

Trattasi, però, di casi sostanzialmente di scuola, difficilmente riscontrabili nella giurisprudenza della giustizia amministrativa. Ecco perché, come dicevamo, il ricorso che si appresta ad inoltrare l’amministrazione milanese è destinato a fare un buco nell’acqua. Detto ciò, tale vicenda impone qualche altra riflessione che involge la sussistenza o meno dell’interesse dei club milanesi a restare a San Siro. Ed infatti, viene spontaneo chiedersi come mai ad impugnare questi atti della Soprintendenza non siano stati l’Inter ed il Milan, visto che sulla carta le due società dovrebbero avervi un maggiore interesse (potendo codesti atti minare il loro progetto).

La ragione, in realtà, sembra abbastanza evidente: i due club hanno già compreso che un ricorso come quello che il Comune di Milano si appresta ad inoltrare non avrebbe portato a nulla ed hanno preferito concentrare le loro attenzioni sui loro nuovi progetti (il Milan a San Donato e l’Inter a Rozzano). Se l’intenzione delle due società sembra quindi  essere quella di spostarsi nell’hinterland milanese, come interpretare, allora, le parole dell’A.D. dell’Inter, Alessandro Antonello, a tenore delle quali il club nerazzurro, tra San Siro e Rozzano, sceglierà il progetto più celermente attuabile? In effetti una simile dichiarazione sembra stridere con quanto appena detto. Per rispondere a questa domanda dobbiamo considerare che, invero, non vi può essere alcun dubbio sul fatto che il progetto su Rozzano possa realizzarsi in un periodo di tempo nettamente inferiore rispetto a quello pensato per San Siro.Troppe, infatti, le incognite che avvolgono quest’ultimo progetto e che ne dilatano in ogni caso i tempi: si pensi ai tempi del ricorso, ad un vincolo culturale comunque già esistente sulla tribuna ovest, a quello incombente sul secondo anello (con conseguente limitazione delle possibilità di intervento sull’impianto), per non parlare del referendum invocato dai comitati sorti a sostegno dell’intoccabilità del Meazza. Vero è che su Rozzano aleggia il problema “viabilità” (ammesso dallo stesso Sindaco) ma questo sembra essere superabile in tempi comunque accettabili (da quanto viene riportato, l’iter burocratico si potrebbe concludere entro il 2025 ed il complesso edilizio essere costruito entro il 2028).

Detto ciò, perché allora Antonello si è espresso nei termini sopra indicati? Alla luce di quanto appena detto, non può che trattarsi di una dichiarazione di facciata, volta più che altro a dimostrare a tutti i tifosi che fino all’ultimo il progetto su San Siro non è stato abbandonato, di modo che in futuro nessuno possa rimproverare al club nerazzurro di non aver fatto tutto quanto necessario per restare a Milano, scaricando, in tal modo, la responsabilità dell’emigrazione sull’amministrazione comunale.D’altronde, a ben guardare, anche il ricorso del Comune può essere interpretato con la volontà del Sindaco di dimostrare – in questo caso ai cittadini milanesi – che tutto ciò che poteva essere fatto per evitare che le squadre andassero via era stato fatto. Ma in realtà ormai il dado è tratto: Inter e Milan andranno per la loro strada. D’altronde, che senso avrebbe per le due squadre abbandonare dei progetti per i quali stanno magari già investendo importanti risorse?

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