
Con una decisione unanime, la Corte Suprema del Regno Unito ha chiarito che le tutele previste per le donne nell’Equality Act 2010 si applicano esclusivamente alle persone di sesso femminile biologico. La sentenza esclude, quindi, le donne transgender – anche in possesso di un certificato legale di riassegnazione di genere – da quelle specifiche protezioni previste dalla legge. Si tratta di un intervento giuridico che fa chiarezza dopo anni di ambiguità normative e tensioni ideologiche.
La sentenza: un cambio di passo anche politico
La portata della sentenza che ridefinisce il significato di “donna” è resa ancora più significativa dal sostegno espresso dal governo laburista di Keir Starmer, che segnala una presa di distanza rispetto alle politiche passate orientate alla centralità del genere percepito. Una mossa che suggerisce una volontà politica di riconnettersi con il reale, evitando derive ideologiche che hanno messo in secondo piano il corpo, la biologia e l’esperienza femminile concreta.
Nuove regole per spazi e incarichi pubblici
Le implicazioni pratiche non si sono fatte attendere. Le posizioni pubbliche riservate alle donne nei consigli di amministrazione non potranno più essere occupate da persone transgender. Inoltre, si apre alla possibilità di limitare l’accesso a servizi e spazi progettati per tutelare la sicurezza e la riservatezza delle donne biologiche. Questo potrebbe comportare una revisione più ampia del sistema normativo britannico in materia di identità di genere.
Il valore della biologia in una società inclusiva
La sentenza ribadisce un concetto che, fino a pochi anni fa, sembrava ovvio: l’essere donna non può prescindere dal corpo. In una società democratica, il rispetto delle differenze e la tutela della libertà personale non dovrebbero mai tradursi nella negazione della realtà biologica. Affermare che un uomo possa essere donna in base a una semplice autoidentificazione, senza esperienza, vissuto o fisiologia femminile, è una distorsione che svuota di senso l’identità stessa.
Quando l’inclusione diventa confusione
Negli ultimi anni, il linguaggio pubblico si è popolato di espressioni come “persona che mestrua” o “persona con utero”, nel tentativo di rendere il discorso più inclusivo. Ma in molti casi, questo ha prodotto l’effetto opposto: invece di aggiungere tutele, ha oscurato la specificità femminile. L’identità di genere è stata elevata a principio assoluto, relegando il sesso biologico a una nota a piè di pagina. Il risultato? Una società più confusa, meno chiara, e paradossalmente meno equa.
Estremismi opposti, stesso esito: la cancellazione della donna
Il paradosso è evidente: da una parte, la destra populista ha attaccato l’ascesa delle donne con la scusa di combattere la cultura “woke”, sminuendo i loro successi come prodotti di quote e favoritismi. Dall’altra, la sinistra radicale ha diluito il concetto di “donna” fino a renderlo indefinibile, soggetto unicamente alla percezione personale. Due approcci opposti, ma convergenti nel risultato: rendere invisibili le donne, negando la loro realtà o svuotandola di contenuti concreti.
Una nuova direzione per la sinistra europea?
Il fatto che la decisione sia sostenuta da un governo laburista segnala la possibilità di un nuovo equilibrio a sinistra: uno che non rinunci all’inclusione, ma che sia anche ancorato alla realtà materiale delle persone. Difendere le donne, in questo contesto, non è una posizione reazionaria, ma un atto di lucidità politica e di responsabilità sociale. Una sinistra capace di conciliare diritti e verità, senza cedere né alla confusione ideologica né al cinismo dei populismi.