Il Tribunale di Prato ha emesso una sentenza di condanna nei confronti di una donna di sessant’anni, residente in Lombardia, autoproclamatasi “giustiziera dei tradimenti”. La donna è stata riconosciuta colpevole di revenge porn, diffamazione, stalking e sostituzione di persona.
Con lei è stato condannato anche il figlio trentenne, considerato il braccio tecnico delle sue azioni, a un anno e otto mesi di reclusione.
Una missione personale contro gli uomini infedeli
Secondo le ricostruzioni emerse nel processo, la donna era ossessionata dall’idea di “difendere le donne tradite” smascherando uomini che riteneva infedeli. Le sue “vittime” erano scelte a caso: uomini sconosciuti, contattati attraverso profili falsi creati dal figlio con immagini e nomi inventati.
Non chiedeva denaro né vantaggi personali: la sua unica motivazione, secondo gli inquirenti, era quella di “punire” presunti traditori.
Il caso di Prato: dalle chat finte alle raccomandate sul lavoro
L’episodio che ha portato alla condanna risale al 2020. La donna aveva adescato sui social un trentenne pratese, fingendosi una giovane donna inesistente. Dopo aver ottenuto conversazioni e foto intime, aveva raccolto tutto il materiale – messaggi, immagini e screenshot – e lo aveva inviato alla fidanzata, agli amici, ai familiari e persino ai colleghi dell’uomo.
Il materiale, secondo quanto riferito in aula, era stato spedito anche per posta, in raccomandate dirette sul luogo di lavoro del giovane.
La persecuzione continua: pedinamenti e foto “dal vivo”
Quando la coppia non si è separata nonostante la diffusione delle chat, la giustiziera ha deciso di intensificare la sua azione, arrivando a pedinare il ragazzo con l’aiuto del figlio.
Le fotografie e i dettagli raccolti servivano a costruire nuove “prove” di un presunto tradimento. È stato proprio quel comportamento ossessivo, notato dalla coppia, a portare alla denuncia e all’identificazione dei due responsabili.
La “giustiziera dei tradimenti”: la difesa e il racconto in aula
Durante il processo, la personalità della donna è stata descritta come quella di una persona convinta del proprio ruolo di paladina. Nei messaggi portati in aula, lei stessa si definiva una “vendicatrice delle donne tradite”.
L’avvocato del giovane pratese, Pia Pacini, ha spiegato che tutto è cominciato da un profilo Instagram falso, con cui la donna aveva avviato scambi erotici prima di diffondere le immagini.
La fidanzata dell’uomo, difesa dall’avvocato Federica Palanghi, si è costituita parte civile. Entrambi hanno denunciato la stalker dopo mesi di molestie, messaggi e pedinamenti continui.
Una lunga ossessione e nuove possibili denunce
L’inchiesta ha svelato che non si trattava di un episodio isolato: altre segnalazioni simili erano già arrivate alle forze dell’ordine. Tuttavia, solo la coppia di Prato ha scelto di portare il caso fino in tribunale, fornendo prove e testimonianze decisive.
Secondo la difesa della vittima, questa sentenza potrebbe incoraggiare altre persone a denunciare comportamenti analoghi della donna.
Il legale Pacini auspica che il verdetto serva da monito: «Ci auguriamo che questa decisione spinga la signora a cambiare atteggiamento e a smettere di perseguitare gli uomini».
Un caso emblematico di cyberstalking e ossessione digitale
La vicenda della “giustiziera dei tradimenti” è un nuovo esempio dei pericoli del cyberstalking e dell’uso distorto dei social network.
Dietro la presunta “vendetta morale” si nasconde un comportamento patologico che ha distrutto relazioni, minato la privacy e segnato la vita delle vittime coinvolte.
