
La decisione di Paragon Solutions di rescindere i contratti con le autorità italiane segna un passaggio delicato in un caso che merita maggiore chiarezza istituzionale. L’azienda israeliana, produttrice dello spyware Graphite, ha infatti affermato di aver offerto a governo e Parlamento italiani la possibilità di verificare se il suo software fosse stato impiegato in violazione della legge contro il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato. Secondo Paragon, le autorità italiane avrebbero scelto di non procedere con tale verifica, portando alla rescissione unilaterale dei contratti.
Il fatto che un’azienda tecnologica privata dichiari di aver interrotto la propria collaborazione con lo Stato italiano per l’assenza di risposte a domande legittime sulla sorveglianza di un giornalista è un segnale allarmante. Lo è ancor più se si considera che lo spyware in questione, come confermato dalla relazione del Copasir, era in uso presso i servizi di intelligence interni (AISI) ed esterni (AISE).
Il Copasir, nella sua relazione, ha ricostruito i fatti in modo diverso, sostenendo che la società non avrebbe potuto in alcun modo stabilire l’identità dei bersagli intercettati dai suoi clienti. Tuttavia, la nota di Paragon smentisce apertamente questo punto, affermando di aver messo a disposizione un metodo per verificare l’eventuale uso improprio dello spyware e di aver ricevuto un rifiuto dalle autorità italiane.
Questo scarto fra due versioni ufficiali, quella di una società tecnologica e quella di un comitato parlamentare di controllo, apre una questione istituzionale seria: è stato utilizzato uno strumento di sorveglianza contro soggetti che, secondo le stesse regole dichiarate dall’azienda fornitrice, non avrebbero dovuto essere oggetto di intercettazione? E se sì, chi ne ha disposto l’utilizzo?
Oltre a Cancellato, anche nomi come Beppe Caccia e Luca Casarini, attivisti legati all’ONG Mediterranea Saving Humans, sono stati associati a episodi di sorveglianza informatica. Il minimo che ci si aspetta, in uno Stato che si definisce democratico, è che simili episodi vengano chiariti con trasparenza, senza reticenze o ambiguità.
Il diritto alla riservatezza e alla libertà di stampa sono pilastri dello Stato di diritto. Il controllo delle tecnologie di sorveglianza, tanto più quando usate da apparati pubblici, non può essere oggetto di opacità. Le garanzie democratiche non sono accessorie: sono la condizione minima per la fiducia tra cittadini e istituzioni.
Paragon, nel suo comunicato, ha lasciato la porta aperta a una futura collaborazione in caso di indagini ufficiali. È una disponibilità che le istituzioni italiane farebbero bene a raccogliere, non per deferenza verso un fornitore estero, ma per rispetto nei confronti della trasparenza e della legalità.
A questo punto, l’unica risposta possibile è un’inchiesta seria, condotta in modo indipendente e senza zone d’ombra. Se sono state commesse violazioni, devono essere individuate. Se invece tutto è stato fatto nel rispetto delle norme, sarà l’occasione per ribadirlo pubblicamente, con dati e documenti, rafforzando la fiducia nelle istituzioni.
Tutto il resto è silenzio, e il silenzio, su vicende di questa portata, non è mai neutrale.