Oltre la propaganda, i numeri della morte

A Gaza non si muore solo sotto le bombe, si muore nel silenzio e qualcuno ha deciso che non dovevamo saperlo.

gaza

Nel cuore dell’inferno umanitario che è diventata Gaza, c’è un dato che fatica a imporsi nel dibattito internazionale: quello delle vittime civili. Per mesi, il governo israeliano ha denunciato come “gonfiate” le cifre diffuse dal Ministero della Salute di Gaza, accusandolo, con l’avallo complice di molti media occidentali, di propaganda.

Ora però una nuova ricerca indipendente smonta quella narrativa. E rivela un orrore ben più profondo.

Secondo uno studio condotto da università di Stati Uniti, Regno Unito, Norvegia e Belgio, in collaborazione con il Palestinian Center for Policy and Survey Research, al 5 gennaio 2025 il numero reale di morti violente a Gaza aveva già raggiunto quota 75.200. A questi si aggiungono oltre 8.500 decessi indiretti dovuti a fame, malattie e mancanza di cure: il totale supera le 83.000 vittime. Il Ministero della Salute ne ha finora conteggiate circa 55.000. Altro che esagerazione: c’è una drammatica sottostima.

Il dato più atroce è quello sui bambini. La ricerca stima in almeno 22.800 i minori uccisi, uno su tre delle vittime totali, con un margine che potrebbe arrivare fino a 28.800. L’infanzia, a Gaza, è diventata un bersaglio collaterale sistematico.

Ma ciò che questa indagine, condotta con rigore accademico, tracciamenti GPS e protocolli etici approvati,  rende evidente, è qualcosa di ancora più inquietante: Israele sta deliberatamente ignorando la realtà che ha contribuito a creare.

Benjamin Netanyahu e la sua coalizione di destra radicale hanno orchestrato questa offensiva come se la distruzione di Hamas giustificasse tutto: l’assedio totale, l’annientamento infrastrutturale, la fame imposta, l’abbandono sanitario. Ma nessun obiettivo militare può legittimare una conta di morti che ormai si avvicina, in proporzioni, a quelle di conflitti su scala continentale.

Le responsabilità politiche non si misurano soltanto con i comunicati. Si misurano con i numeri, i corpi, le storie spente. L’idea che l’intera popolazione di Gaza, oltre due milioni di persone, possa essere trattata come effetto collaterale in un’operazione di rappresaglia è un crimine morale, ancor prima che giuridico.

E se il Ministero della Salute di Gaza è stato attaccato come fonte inattendibile, lo studio indipendente, in linea con le migliori prassi scientifiche, ne ribalta la reputazione. I dati raccolti a Gaza sono trasparenti, pubblici, nominativi. Ogni vittima è elencata con nome, età, genere e numero di identificazione nazionale. Numero rilasciato da Israele stesso. Se quei nomi fossero inventati, lo Stato ebraico avrebbe avuto tutti i mezzi per denunciarlo. Non l’ha fatto.

Perché la verità, anche quando si tenta di occultarla sotto le macerie, prima o poi risale. Questa indagine è un atto di resistenza documentale, che riporta la guerra alla sua dimensione più concreta: quella umana. E chi oggi si ostina a negare o a minimizzare l’entità del massacro, ne è corresponsabile.

Quando la pace tornerà, e tornerà, Gaza avrà bisogno di memoria. Di un archivio dei nomi, come fu per il Kosovo. Ma avrà bisogno anche di giustizia. E di un’accusa chiara: la distruzione sistematica di Gaza non è stato un incidente della storia, ma una scelta politica. Netanyahu ne porta la firma.