La vittoria di Zohran Mamdani a sindaco di New York segna un passaggio politico che va ben oltre i confini della metropoli americana. È una sconfitta cocente per i repubblicani e, soprattutto, per Donald Trump, che aveva investito capitale politico e retorico contro un candidato simbolo di tutto ciò che egli detesta: giovane, musulmano, socialista, figlio di migranti e con un programma apertamente redistributivo.
Non è solo la prima volta che un musulmano entra a Gracie Mansion. È la prima volta, da molti anni, che un programma apertamente progressista, trasporti gratuiti, affitti calmierati, tassazione dei super-ricchi, supermercati pubblici, conquista una città che da troppo tempo oscillava tra il realismo neoliberale e il populismo securitario. Mamdani ha ribaltato un paradigma, ha dimostrato che parlare ai bisogni materiali dei cittadini può ancora vincere, persino nel cuore del capitalismo globale.
L’ex governatore Andrew Cuomo, ultimo erede di una dinastia democratica ormai esausta, ha subito una disfatta simbolica. Curtis Sliwa, il candidato repubblicano, non è mai riuscito a incarnare un’alternativa credibile. Ma il vero sconfitto, in controluce, è Trump. Il tycoon di Mar-a-Lago aveva minacciato di tagliare i fondi federali a New York se Mamdani avesse vinto, convinto che l’America urbana fosse ormai perduta ma ancora controllabile con la paura. Ha sbagliato i conti.
Il risultato newyorkese si inserisce in un quadro più ampio, i democratici hanno vinto anche in Virginia e nel New Jersey, due stati chiave che nel recente passato avevano oscillato verso i repubblicani. Gruppi di elettori che nel 2016 e nel 2020 avevano flirtato con il trumpismo, bianchi della classe media, suburbani moderati, giovani disillusi, sono tornati a votare per il Partito Democratico. Non per entusiasmo verso l’ex amministrazione Biden, ma perché la destra americana continua a offrire solo risentimento, minacce e negazionismo.
Il messaggio politico che arriva da queste urne è chiaro, la paura non mobilita più come un tempo. La strategia repubblicana, tutta centrata sul culto della personalità di Trump e sull’ossessione identitaria, si è rivelata sterile. New York, che lo ha visto nascere e arricchirsi, lo ha simbolicamente sepolto. “Donald Trump, ho quattro parole per te: alza il volume”, ha detto Mamdani nel suo discorso della vittoria, un messaggio tagliente, ma anche ironico, che segna la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova narrazione.
La sinistra europea, dal sindaco di Londra Sadiq Khan all’eurodeputata francese Manon Aubry, ha salutato la vittoria di Mamdani come un segnale di speranza. Forse con entusiasmo eccessivo, ma non immotivato, negli Stati Uniti, la parola “socialismo” non è più un tabù assoluto. Il successo di figure come Mamdani, Alexandria Ocasio-Cortez e altri giovani progressisti indica che una parte crescente dell’elettorato cerca risposte concrete alla disuguaglianza e alla precarietà, non la nostalgia per un’America che non esiste più.
Wall Street, che ha speso milioni per sostenere i candidati moderati, ha perso la scommessa. Il potere finanziario dovrà ora confrontarsi con un sindaco che parla la lingua dei lavoratori e non quella dei mercati. “Abbiamo rovesciato una dinastia politica. Il futuro è nelle nostre mani”, ha detto Mamdani. Una frase semplice, ma in netto contrasto con la retorica tecnocratica che ha anestetizzato il partito democratico per decenni.
La notte elettorale di New York, dunque, non è solo una vittoria locale. È un campanello d’allarme per la destra americana e un segnale di rinascita per un progressismo capace di parlare di giustizia sociale senza complessi. Mentre Trump minaccia e i repubblicani si radicalizzano, l’America delle città, giovani, multietnica, inclusiva, sembra pronta a indicare un’altra via.
Forse, come ha detto Mamdani citando Eugene Debs, “vedo l’alba di un giorno migliore per l’umanità”. Non è retorica. È il ritorno della politica nel suo significato più autentico: dare speranza, e renderla credibile.
