Netanyahu riconosce il Somaliland, non la Palestina

Israele legittima uno Stato non riconosciuto da nessuno mentre continua a negare quello palestinese, rivelando una strategia che aggira il cuore del conflitto mediorientale

Il presidente del Somaliland Abdirahman Mohamed Abdullahi e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Di fronte alle macerie di Gaza, al conflitto irrisolto con i palestinesi e a una comunità internazionale sempre più divisa, Benjamin Netanyahu compie una scelta che è insieme simbolica e rivelatrice, Israele diventa il primo, e per ora unico, Stato al mondo a riconoscere il Somaliland come Paese sovrano e indipendente. Non la Palestina, non uno Stato riconosciuto da decine di membri dell’ONU, ma un’entità non riconosciuta da nessuna organizzazione internazionale, autoproclamatasi indipendente dalla Somalia nel 1991.

È una mossa che dice molto più di quanto sembri.

La logica degli Accordi di Abramo spinta oltre il limite

Il riconoscimento del Somaliland, presentato come atto pragmatico e strategico, viene inserito nel quadro degli Accordi di Abramo, la grande architettura diplomatica con cui Israele ha normalizzato i rapporti con diversi Paesi arabi e musulmani. Ma qui il paragone scricchiola. Emirati, Bahrein, Marocco o Sudan erano, e sono, Stati pienamente sovrani. Il Somaliland no. Riconoscerlo non è un gesto di normalizzazione, bensì una forzatura politica che aggira deliberatamente il nodo centrale del Medio Oriente, la questione palestinese.

Una scelta ideologica prima che diplomatica

Netanyahu manda così un messaggio chiaro, Israele non intende riconoscere lo Stato di Palestina, nemmeno simbolicamente, ma è disposto a legittimare una secessione unilaterale in Africa pur di rafforzare la propria proiezione geopolitica. Non è un dettaglio. È una scelta ideologica prima ancora che diplomatica.

Il Somaliland tra stabilità interna e vuoto giuridico

Il Somaliland, va detto, non è un’entità improvvisata. Ha istituzioni funzionanti, una relativa stabilità e una storia distinta da quella della Somalia post-collasso. Tuttavia, il principio che ha finora guidato l’Unione Africana e la comunità internazionale è stato quello dell’integrità territoriale, proprio per evitare che il continente precipitasse in una frammentazione senza fine. Israele rompe questo consenso, irritando non solo Mogadiscio, ma anche attori regionali di peso come Egitto, Turchia e Gibuti.

Il Corno d’Africa come nuovo fronte strategico

Non sorprende. Il Corno d’Africa è uno degli snodi strategici più delicati del pianeta, Bab el-Mandeb, Mar Rosso, Golfo di Aden. In questo scacchiere, il riconoscimento del Somaliland apre la porta a ipotesi di cooperazione militare, basi, intelligence e controllo delle rotte marittime. La retorica sulla cooperazione agricola e sanitaria serve a rendere più presentabile un’operazione che ha un chiaro contenuto strategico-militare.

Il doppio standard e il rischio di destabilizzazione

Ma il prezzo politico è alto. Israele si espone all’accusa di doppio standard, da un lato invoca la sicurezza e la storia per negare ai palestinesi uno Stato riconosciuto da larga parte del mondo; dall’altro legittima una secessione non riconosciuta da nessuno, creando un precedente potenzialmente destabilizzante. È una contraddizione che difficilmente passerà inosservata nelle sedi multilaterali.

Una diplomazia che aggira il nodo centrale

In definitiva, il riconoscimento del Somaliland non è un atto neutrale né puramente tecnico. È una scelta che rivela la direzione della politica estera israeliana sotto Netanyahu, aggirare la questione palestinese, frammentare i dossier, costruire alleanze periferiche anche a costo di rompere equilibri regionali già fragili.

Una mossa audace, forse. Ma anche un segnale inquietante di come il diritto internazionale venga sempre più piegato alle convenienze del momento, mentre le questioni centrali, Palestina in primis, restano volutamente irrisolte.