
Massimo Giuseppe Bossetti, l’uomo condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio, è tornato sotto i riflettori nel programma Belve Crime, spin-off giudiziario condotto da Francesca Fagnani su Rai 2. Un’intervista dura, tesa, carica di momenti emotivi e scontri verbali, nella quale Bossetti ha riaffermato con forza la sua innocenza e ha messo in discussione la validità delle prove che lo hanno portato alla condanna.
L’elemento centrale resta il DNA trovato sugli slip e sui leggings della giovane vittima. “Chi può dire con certezza che fosse il mio?”, ha ribattuto Bossetti. Una domanda che ha riaperto il dibattito su un caso che, sebbene giudiziariamente chiuso, continua a dividere l’opinione pubblica.
Massimo Bossetti, il DNA e incongruenze: la replica a Fagnani
Durante l’intervista, il muratore ha contestato la prova regina del processo: il DNA nucleare rilevato sugli indumenti della ragazza. Fagnani ha sottolineato la scientificità del dato, ricordando che gli esami sono stati effettuati più volte e confermati. Però Massimo Bossetti ha sollevato dubbi sulla persistenza del DNA nel tempo, soprattutto in ambiente aperto, e ha rimarcato l’assenza del DNA mitocondriale, che invece non sarebbe stato riscontrato.
“È tutto assurdo, anomalo e incompreso”, ha dichiarato, facendo intendere che non ci sia stata volontà di approfondire piste alternative. Ma la giornalista lo ha incalzato con una domanda diretta: “Come ci è finito allora il suo DNA sugli slip di Yara?”. La risposta: “È quello che vorrei capire anche io”.
L’infanzia difficile di Bossetti, le bugie al lavoro e il dolore per il tradimento
Massimo Bossetti ha raccontato anche frammenti personali, spesso ignorati nei resoconti giudiziari. Ha parlato di un’infanzia tormentata e di un rapporto complesso con la madre. Poi ha ammesso di aver detto bugie per ottenere dei pagamenti sul lavoro, come quella su un presunto tumore cerebrale: “Una tendenza che ha pesato sul giudizio nei miei confronti”, ha ammesso.
Un momento particolarmente toccante dell’intervista riguarda il tradimento della moglie, scoperto mentre era già in carcere. “Mi hanno ritrovato con la testa nel lavandino e una cintura al collo”, ha raccontato, rivelando il suo tentativo di suicidio. “Non ho pensato alle conseguenze per i miei figli”, ha detto con voce rotta.
Massimo Bossetti, l’assenza di un alibi e le commissioni “dimenticate”
Uno dei punti più critici del processo fu l’assenza di un alibi solido. Bossetti ha ricostruito quel 26 novembre 2010 come un giorno qualunque: commissioni, una visita dal commercialista, una tappa dal fratello, un passaggio dal parrucchiere. “Sono rientrato a casa alle 19.30, come sempre”, ha detto. Tuttavia, la moglie Marita non ricordava esattamente l’orario. “Non c’è un vuoto, per me fu un giorno normalissimo”, ha ribadito.
Lo smartphone, che risultò spento nelle ore cruciali, viene spiegato con la scarsa autonomia della batteria. “Lo caricavo solo la mattina quando andavo in cantiere”, ha detto, respingendo ogni illazione.
Un caso chiuso… ma forse non del tutto
A riaprire le ferite del caso Gambirasio ci pensa il canale YouTube Bugalalla Crime, che ha pubblicato documenti e verbali inediti relativi all’indagine, risalenti al periodo tra il ritrovamento del corpo e l’arresto di Bossetti. Si tratta di testimonianze e confessioni di soggetti che si trovavano in zona la sera della scomparsa di Yara, alcuni a bordo di un furgone identico a quello posseduto dall’imputato, e coinvolti in attività di spaccio legate alla criminalità organizzata locale.
Secondo il canale, queste informazioni non solo furono ignorate dalla PM Letizia Ruggeri, ma mai portate all’attenzione del pubblico né dibattute in aula. Tra i sospettati anche una persona che avrebbe avuto “un segreto” con Yara e che, per dinamica e descrizione fisica, sarebbe stata compatibile con i testimoni oculari. Nonostante i riscontri telefonici e i legami con l’area del centro sportivo e il campo di Chignolo d’Isola, questi individui non furono mai formalmente indagati.
Un fascicolo aperto e nuove possibili indagini
Proprio su queste nuove rivelazioni, il curatore del canale ha depositato un esposto alla Procura competente, che avrebbe aperto un fascicolo d’indagine. Il materiale fornito conterrebbe documenti originali e inediti, finora ignorati dai media mainstream. Un tentativo concreto di riaprire il caso, spostando l’attenzione da una sola versione dei fatti a scenari più complessi e forse mai realmente investigati.
La denuncia, tuttavia, ha scatenato anche reazioni ostili e minacce: “Mi augurano la morte per aver pubblicato la verità”, ha detto il creatore del canale. Ma il passo legale è stato compiuto: ora sarà la magistratura a valutare se quelle omissioni abbiano o meno compromesso il diritto alla verità.
Il dubbio resta
L’intervista a Belve Crime e le nuove rivelazioni su YouTube hanno riportato al centro del dibattito un caso che ha sconvolto l’Italia. Se da una parte c’è una condanna definitiva, dall’altra emergono elementi che sollevano dubbi mai sopiti. È legittimo chiedersi: si è davvero fatta giustizia? Oppure siamo di fronte a un altro possibile errore giudiziario?
In attesa degli sviluppi del nuovo fascicolo, il volto di Massimo Bossetti — per molti il colpevole, per altri una vittima del sistema — continua a interrogare le coscienze. E a ricordarci che, nella giustizia, il dubbio dovrebbe sempre essere accolto con serietà. Anche quando sembra scomodo.