Londra volta pagina: il Regno Unito rompe il silenzio su Israele

Starmer segue Sanchez e impone un alt alle relazioni con Tel Aviv. L’Italia? Si rifugia nelle frasi di circostanza mentre Gaza muore

Keir Starmer

Dopo mesi di ambiguità, calcoli geopolitici e dichiarazioni di circostanza, anche Londra ha deciso di rompere il silenzio. Con la sospensione dei negoziati per un accordo di libero scambio con Israele, il governo laburista di Keir Starmer ha messo nero su bianco una verità che molti, in Europa e nel mondo, esitavano a pronunciare: non si può costruire partnership economiche solide con un governo che ha scelto la fame come arma e l’occupazione come strategia permanente.

Il Regno Unito segue la Spagna di Pedro Sanchez, primo tra i leader europei a usare parole come “genocidio” in riferimento alla condotta israeliana a Gaza, e lancia un segnale politico inequivocabile. La sospensione dell’accordo commerciale, le sanzioni mirate contro coloni e organizzazioni estremiste, la convocazione dell’ambasciatrice israeliana Tzipi Hotovely: tutto indica un cambio di paradigma. È la fine della pazienza strategica, l’inizio di un’intolleranza istituzionale verso un governo che ha oltrepassato il limite dell’umanamente difendibile.

Non si tratta solo di un gesto simbolico. Le relazioni tra Regno Unito e Israele avevano un potenziale economico rilevante, soprattutto nei settori tecnologico, farmaceutico e della difesa. Ma, come ha dichiarato alla Camera dei Comuni il ministro degli Esteri David Lammy, “non possiamo restare inerti di fronte a questo nuovo deterioramento. È incompatibile con i principi che fondano le nostre relazioni bilaterali”. Parole nette, lucide, in un contesto che richiedeva chiarezza morale oltre che diplomatica.

Londra rompe così una consuetudine di silenzi complici e relazioni asimmetriche, dove a Tel Aviv era permesso tutto, o quasi, in nome della sicurezza. Ma cos’è rimasto di “sicuro” in un assedio che nega acqua, cibo e medicine a oltre due milioni di civili? Di quale sicurezza può vantarsi un governo che blocca gli aiuti umanitari e bombarda ospedali, scuole, campi profughi?

Il silenzio assordante dell’Italia, in questo quadro, appare ancora più grave. A parte qualche frase di circostanza e inviti generici alla de-escalation, il nostro governo non ha mai preso una posizione netta contro la pulizia etnica perpetrata ai danni dei palestinesi di Gaza. Roma continua a rifugiarsi nella prudenza diplomatica, mentre la carneficina umanitaria prosegue sotto gli occhi del mondo. Nessuna sospensione di accordi, nessuna sanzione, nessuna voce realmente dissonante. Lungi dall’essere coraggiosa come quella di Pedro Sanchez o risoluta come quella di Keir Starmer, l’Italia resta ancorata a un immobilismo che la pone ai margini di un’Europa che, almeno in parte, sta iniziando a reagire.

La sospensione dei negoziati commerciali non è un atto ostile verso il popolo israeliano, ma una ferma condanna verso un governo che ha smarrito la misura, il diritto e la ragione. Una condanna verso la logica del “castigo collettivo” che Benjamin Netanyahu continua a infliggere a Gaza, mirando a una presenza semi-permanente nella Striscia, in aperto spregio del diritto internazionale.

Il fatto che questa presa di posizione arrivi dal Regno Unito, tradizionalmente vicino a Israele e spesso cauto nelle sue critiche, ha un peso specifico enorme. Dimostra che qualcosa sta cambiando nei palazzi del potere occidentali. L’onda lunga partita da Madrid, passata per Dublino e ora accolta a Londra, rischia di isolare Tel Aviv come mai prima d’ora. Anche l’accordo Ue-Israele inizia a scricchiolare sotto il peso dell’indignazione di governi e opinioni pubbliche.

È il momento in cui la politica smette di essere equilibrista e torna a essere etica. Dove il commercio non può più essere disgiunto dai valori. Dove la diplomazia, se vuole avere senso, deve saper dire “no” davanti all’inaccettabile.

Il Regno Unito ha preso posizione. Ora tocca agli altri. E anche l’Italia, prima o poi, dovrà decidere se restare spettatrice o tornare a essere una voce credibile nel concerto europeo.

Perché quando si tenta di affamare una popolazione intera, restare neutrali equivale a essere complici.

E la storia, di solito, non dimentica i complici.