Israele senza futuro: la guerra che non può vincere

Senza una visione politica, Israele rischia di trasformare la sua vittoria militare in una sconfitta storica

Da quasi due anni, la guerra a Gaza si trascina senza che emerga un progetto politico credibile per il “giorno dopo”. L’operazione israeliana, scaturita dal trauma degli attacchi del 7 ottobre 2023, ha devastato la Striscia, ridotto Hamas a un’organizzazione indebolita e frammentata, ma non ha prodotto alcuna prospettiva di stabilità. Israele, oggi, sembra incapace di tradurre il vantaggio militare in un risultato politico. È il segno che questa è una guerra che non può essere vinta.

Una vittoria militare senza sbocco

Il punto centrale non riguarda la capacità bellica di Israele, indiscutibile, ma l’assenza di un disegno strategico. Ogni guerra deve avere un obiettivo finale, una visione che trasformi la forza in sicurezza duratura. Invece, il governo israeliano continua a rifiutarsi di indicare quale sarà l’assetto futuro di Gaza, se ci sarà un’autorità palestinese legittimata o una presenza internazionale, o se la Striscia resterà un limbo devastato. Questo vuoto di prospettiva condanna sia i palestinesi, costretti a un’inedita catastrofe umanitaria, sia gli stessi israeliani, che vivono sotto l’ombra di un conflitto senza sbocco.

La voce dei dissidenti interni

La voce di figure come Ami Ayalon, ex capo dello Shin Bet, rompe la retorica ufficiale: senza riconoscere i diritti e le aspirazioni dei palestinesi, senza avviare un processo reale verso uno Stato palestinese che includa Gaza e Cisgiordania, la sicurezza di Israele resterà un miraggio. La forza militare non può sostituire la politica, né può distruggere un’idea nazionale radicata. Ogni rinvio, ogni illusione di “gestione” del conflitto, prepara solo la prossima esplosione.

Il vero perdente

In questo senso, il vero perdente rischia di essere proprio Israele. Non perché Hamas esca vincitore, la sua capacità di colpire è stata drasticamente ridotta, ma perché il Paese si sta condannando a un ciclo infinito di guerra, isolamento internazionale e erosione interna della propria democrazia. L’opinione pubblica mondiale, sempre più sensibile al dramma umanitario, vede in Israele non un Paese che difende la propria sicurezza, ma una potenza che non sa immaginare un futuro oltre le macerie.

Una scelta che non può più essere rimandata

La domanda che incombe non è più “quando finirà la guerra”, ma “quale sarà il futuro della regione”. Senza una visione politica che includa uno Stato palestinese, l’intero Medio Oriente rimarrà intrappolato in una logica di distruzione reciproca. Israele, che pure ha la possibilità di guidare un percorso diverso, sembra incapace di farlo.

Un futuro da riconquistare

Un Paese che non sa darsi un progetto, che non riesce a tradurre il dolore in una prospettiva di pace, non conquista la sicurezza: la perde. È questa la tragedia che si sta consumando a Gaza e che, lentamente, rischia di travolgere Israele stesso.