Israele: Cessate il fuoco e crisi politica

Il cessate il fuoco su Gaza è stato esteso per altri quattro giorni con l’aspettativa che Hamas liberi altri ostaggi e intanto si vocifera che il Qatar stia lavorando a un accordo per la liberazione di tutti gli ostaggi in mano a Hamas e alla Jihad Islamica Palestinese. Nella notte di martedì 28 novembre sono stati rilasciati altri 12 ostaggi inclusi due cittadini tailandesi.

Del resto per il governo israeliano c’è poco da fare, incastrato tra i parenti degli ostaggi che protestano costantemente e un’amministrazione Biden che spinge per le trattative ed è restia persino a difendere i propri militari attaccati dai proxy iraniani in Medio Oriente, nel presunto timore che “il conflitto si allarghi”, attirandosi per forza di cose dure critiche dai repubblicani.

Intanto il leader del partito Otzma Yehudit, Itamar Ben Gvir, nonché Ministro per la Sicurezza Nazionale, ha minacciato di far cadere il governo se non si riprendono subito le ostilità contro Hamas e non cessano le trattative. Ben Gvir è stato chiarissimo: “fermare la guerra equivale a far crollare il governo”.

Il partito Otzma Yehudit ha sei poltrone e tre ministeri, ma secondo quanto illustrato dal Times of Israel, in caso di mancato sostegno, Netanyahu potrebbe comunque contare sul supporto della sinistra che appoggia le trattative con Hamas.

Allo stato attuale sono 63 gli ostaggi rilasciati, ma ne restano ancora circa 180 e non si sa chi sia ancora vivo e chi no. Certo è che se si va avanti di questo passo, con la liberazione di una decina al giorno, si rischia di estendere il cessate il fuoco di almeno tre settimane, ammesso e concesso che Hamas sia disposta a liberarli tutti, soldati inclusi e qui i dubbi sono forti.

Il governo israeliano ha più volte dichiarato che la guerra contro Hamas verrà ripresa, ma quando? Siamo certi di ciò? Anche in questo caso i dubbi sono più che legittimi.

Del resto c’è una domanda che non si può evitare di porre: cosa vuole Hamas in cambio della liberazione degli ostaggi? Certamente non può essere soltanto qualche giorno di cessate il fuoco. Dunque?

In primis la liberazione dei terroristi detenuti nelle carceri israeliane; inizialmente donne e minori, molti dei quali condannati per tentato omicidio, ma di qui a poco è probabile che verranno scarcerati anche gli uomini, inclusi molti terroristi condannati per omicidio. Attenzione, la liberazione di ben tre detenuti per ogni ostaggio israeliano e sono in molti a chiedersi le ragioni di ciò. Questo è già di per sè un grosso smacco in quanto si tratta di soggetti pericolosi che hanno ucciso o tentato di uccidere cittadini israeliani e che tenteranno di rifarlo.

Finisce qui? Plausibilmente no, perché Hamas spera anche di poter ottenere la fine del conflitto, facendo affidamento sulle pressioni internazionali nei confronti di Israele. Del resto è quello che vorrebbe anche l’amministrazione Biden, intimorita dalle elezioni del 2024 e con una cospicua parte dell’elettorato democratico, l’ala radicale, che ha mostrato sostegno agli islamisti e forte antisemitismo.

Hamas sta inoltre sfruttando il cessate il fuoco per mostrare i muscoli a Gaza, pavoneggiando terroristi armati e presentando così l’immagine di “martiri che resistono all’offensiva”. Il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, colui che doveva essere “un morto che cammina” secondo il governo israeliano, è intanto ancora al suo posto e detta anche le regole dell’accordo.

Come se non bastasse, martedì 28 novembre il quotidiano israeliano Jerusalem Post ha pubblicato un articolo dove Netanyahu viene accusato di non aver concesso per almeno sei volte il via libera per l’eliminazione del leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, nonostante l’esercito fosse pronto a farlo. Altra rogna dunque per il leader del governo, già messo sotto accusa per il fiasco del 7 ottobre.

Se inizialmente il governo israeliano ha utilizzato una retorica estremamente aggressiva, invocando lo sradicamento di Hamas e l’eliminazione dei suoi leader, poi di fatto è sceso a trattative, liberando i terroristi e sospendendo l’offensiva. Questa situazione è già di per sé estremamente positiva per Hamas considerato che fino a un paio di settimane fa era alle strette.

Nella serata di martedì 28 novembre Mark Regev, consigliere di Netanyahu ed ex ambasciatore israeliano in Gran Bretagna, ha dichiarato all’emittente statunitense MSNBC che Hamas è costretta a liberare gli ostaggi a causa della pressione militare israeliana, ma è realmente così? Allora per quale motivo Israele è stato costretto a liberare i terroristi dalle proprie carceri, con un rapporto di tre terroristi per ostaggio? Se Israele non avesse liberato i terroristi, Hamas avrebbe comunque rilasciato gli ostaggi a causa della pressione militare? Difficile crederlo.

Dal punto di vista mediatico-politico Hamas sta vincendo in quanto sta utilizzando l’ansia e il terrore dei familiari degli ostaggi che a loro volta fanno pressione sul governo. Non solo, perché tale meccanismo è stato sfruttato anche da quella parte della comunità internazionale che punta a far cessare l’offensiva israeliana su Gaza e dalla stessa sinistra israeliana. Evidentemente Hamas aveva fatto bene i calcoli.

Sul piano militare l’interruzione dell’offensiva non aiuta l’esercito israeliano, costretto a cessare le attività e dunque quel “momentum” che stava dando i primi frutti. Col cessate il fuoco Hamas avrà modo di riorganizzarsi, seppur limitatamente e di riprendere fiato, cosa che andava invece evitata in tutti i modi. E’ chiaro, l’esercito israeliano non ha nessuna intenzione di mandare i propri uomini nei tunnel dove il numero di vittime tra i militari aumenterebbe drasticamente e questo rende impossibile recuperare gli ostaggi con dei blitz. Un incremento delle vittime tra i militari sarebbe infatti una vittoria per Hamas. Trattare era però l’unica alternativa? Non si sarebbero potute attuare pressioni ben più serie su Hamas e sui suoi leader all’estero? Ismail Haniyeh, Khaled Mashaal e Musa Abu Marzouk sono ancora a piede libero ed è ben noto dove risiedono.

Vi è poi tutta la problematica legata ad importanti attori all’esterno dei confini israeliani. Per quale motivo infatti l’amministrazione Biden (teoricamente il principale alleato di Israele) non ha chiesto da subito la liberazione immediata di tutti gli ostaggi, senza condizioni, implementando pressioni serie sull’organizzazione terrorista e facendo pressione anche su altri Paesi affinchè procedessero in tale direzione, mettendo alle strette Hamas? Per quale motivo ben pochi hanno intimato a Hamas di smettere di utilizzare i civili come scudi umani mentre gran parte della comunità internazionale, inclusa l’amministrazione Biden, martella Israele sul limitare i morti tra i civili palestinesi, come se fosse colpa di un esercito israeliano che si è invece dimostrato estremamente attento nel cercare di evitare morti tra i civili di Gaza. Di certo gli Stati Uniti non ebbero le stesse cautele quando attaccarono Iraq e Afghanistan e nessuno degli alleati si preoccupò di far pressione per evitare morti tra i civili.

Insomma, il governo israeliano, dopo le prime settimane di dura reazione con bombardamenti e offensiva di terra, sembra essersi impantanato in trattative che in un modo o nell’altro aiutano Hamas, organizzazione terrorista che doveva essere estirpata. Certamente la vita degli ostaggi è di primaria importanza, ma era veramente questa l’unica via per ottenerne la liberazione? Se a Washington ci fosse stata un’altra amministrazione, magari ben più risoluta nei confronti dell’Iran e dei suoi proxy, le cose avrebbero forse preso un’altra piega?

Allo stato attuale non si sa per quanto ancora il cessate fuoco andrà avanti e non è nemmeno dato per scontato che il governo israeliano riprenda con l’offensiva. La settantina di militari israeliani morti in queste settimane di guerra è vano? Perché oltre alle famiglie degli ostaggi, ci sono anche quelle dei militari.

Oltretutto, per concludere, c’è anche un gran brutto messaggio che viene fatto passare scendendo a trattative con Hamas; con un’organizzazione terrorista che ha commesso crimini inauditi e cioè che nonostante questo, c’è sempre possibilità per trattative. In poche parole, che eccidi e brutalità del genere possono comunque dare risultati e questo è un problema per tutti in Occidente, perché accadrà di nuovo.

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