Trentasei anni fa, nella sera del 9 novembre 1989, il mondo assistette in diretta televisiva a un evento che avrebbe mutato per sempre la geografia politica e morale dell’Europa: la caduta del Muro di Berlino. Una barriera di cemento e filo spinato che per quasi tre decenni aveva diviso non solo una città, ma un intero continente.
Fu una serata come tante, almeno all’inizio. Le prime notizie arrivarono nei telegiornali serali, quando la gente era a tavola. Nessuno, neppure i protagonisti della politica mondiale, immaginava che quel confine di morte stesse per cedere. Né Mikhail Gorbaciov, né George Bush senior, né Margaret Thatcher o François Mitterrand volevano, o si aspettavano, che la riunificazione tedesca fosse così imminente. A Est, il vecchio apparato comunista vacillava sotto il peso delle proteste, ma ancora a gennaio di quello stesso anno Erich Honecker aveva assicurato che il Muro sarebbe durato “altri cento anni”.
Un equivoco che fece la storia
E invece bastò una frase, pronunciata quasi per caso, a far crollare tutto. “Ab sofort”, “da subito”, rispose il portavoce del governo della DDR, Günter Schabowski, a una domanda del corrispondente dell’Ansa Riccardo Ehrman, durante una conferenza stampa apparentemente di routine. Quell’imprecisione, o forse quell’improvvisazione calcolata, scatenò un effetto domino irreversibile, migliaia di berlinesi dell’Est si riversarono verso i checkpoint gridando “Die Mauer ist weg”.
Quella notte, l’Europa intera si sentì “berlinese”, facendo proprie le parole di John F. Kennedy pronunciate nel 1963 sotto il Muro: Ich bin ein Berliner. Le immagini delle famiglie che attraversavano i ponti e si abbracciavano sopra i blocchi di cemento, trasmesse in diretta da giornalisti come Lilli Gruber, rimasero impresse nella memoria collettiva. Erano il simbolo di un continente che, dopo decenni di divisione e di paura, ritrovava se stesso.
Dal crollo del muro alla fine della guerra fredda
La caduta del Muro non fu soltanto la fine di una frontiera fisica, ma anche la dissoluzione del bipolarismo che aveva segnato il secondo dopoguerra. Con la proclamazione della Riunificazione tedesca, il 3 ottobre 1990, la Guerra fredda poteva dirsi finita. Pochi mesi dopo anche l’Unione Sovietica si sarebbe sciolta, lasciando spazio a un nuovo ordine mondiale di cui ancora oggi si misurano le conseguenze.
Un’Europa ancora incompiuta
Eppure, a distanza di oltre tre decenni, il sogno di un’Europa finalmente unita e solidale appare incompiuto. L’allargamento verso Est, che avrebbe dovuto consolidare democrazia e prosperità, ha invece messo in luce fragilità e diseguaglianze. Nei Länder dell’ex Germania orientale, come in molte altre aree dell’Europa centrale, si è affermato un populismo diffidente verso Bruxelles, capace di intercettare il disagio di chi si sente ancora “cittadino di serie B”. Angela Merkel, che quell’epoca l’aveva vissuta da giovane donna dell’Est, lo ha riconosciuto più volte, il divario tra le due Germanie non è ancora del tutto colmato.
Il monito della libertà
Il 9 novembre resta quindi una data doppia, una celebrazione della libertà riconquistata e, insieme, un monito. Perché la libertà, una volta ottenuta, va coltivata ogni giorno. La caduta del Muro di Berlino non fu solo la fine di un regime, ma l’inizio di una responsabilità comune, costruire un’Europa senza muri, materiali o mentali, capace di unire e non di dividere.
Oggi, in un tempo di nuove frontiere e vecchi nazionalismi, ricordare quella notte significa riaffermare un valore essenziale, la libertà non è mai garantita, ma deve essere continuamente difesa, come fecero quei berlinesi che, armati solo di speranza, trasformarono la Storia con le proprie mani.
